1,4 miliardi di euro è la quota coinvolta dall’8×1000 nel 2017 e resa nota dal report del 2021 (il più aggiornato) del Dipartimento delle Finanze. Di essa 1,1 miliardo è andato alla Chiesa Cattolica, la principale beneficiaria. Qual è il meccanismo che regola la ripartizione dell’8×1000? E perché la Chiesa Cattolica è tanto avvantaggiata?
Diverse opzioni
Il meccanismo di ripartizione dell’8×1000 dell’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) risale al 1984, quando fu rivisto il concordato tra Stato e Chiesa. Venne quindi stabilito che l’8×1000 fosse destinato alle iniziative cattoliche di carattere umanitario e di interesse sociale. Tale modalità – entrata in vigore con la legge 222 dell’85 – ha sostituito l’assegno di congrua, cioè lo stipendio pagato dallo Stato italiano ai sacerdoti e ha permesso alla cittadinanza italiana di scegliere liberamente se finanziare o meno l’istituzione cattolica.
Successivamente l’intesa con la CEI è stata estesa ad altre realtà a sfondo religioso. E naturalmente è presente anche la possibilità di destinare l’8×1000 allo Stato.
Un’attribuzione proporzionale
Ogni cittadino ha la possibilità di scegliere l’ente a cui destinare l’8×1000. Oltre allo Stato, sono comprese realtà a sfondo religioso come l’Unione delle Chiese metodiste e valdesi, l’Unione delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, l’Unione delle comunità ebraiche, la Chiesa evangelica luterana, l’Unione buddhista e l’Unione induista italiana.
Se non si esprime una preferenza sulla destinazione dell’8×1000, però, questa quota verrà attribuita in relazione alle scelte espresse dal resto della popolazione. Andrà quindi all’ente che è stato maggiormente selezionato dal resto della cittadinanza: fino ad oggi la Chiesa Cattolica.
I numeri
Nel 2017 (anno più recente di cui si conoscono gli importi) le scelte espresse sono state il 41,79%. Di esse il 78,5% ha coinvolto la Chiesa Cattolica e il 15,65% lo Stato.
Il 57,82% della cittadinanza, invece, non ha indicato l’ente a cui assegnare l’8×1000. In questi casi gli importi sono quindi confluiti direttamente alla realtà maggiormente selezionata, portando la somma devoluta alla Chiesa cattolica a 1,1 miliardo di euro.
Del 2019 non conosciamo gli importi – che saranno ripartiti e noti nel 2023 – ma solo le percentuali. Le scelte espresse sono state il 40,47% del totale, quelle non espresse il 59%. Tra gli enti selezionati vediamo la Chiesa Cattolica al primo posto (71,74%) e lo Sato al secondo (22,62%).
Un interessante terzo posto è occupato dall’Unione delle Chiese metodiste e valdesi (2,91% nel 2019). Si tratta di una tendenza costante almeno negli ultimi dieci anni, basata anche sulle iniziative di ampio respiro della Chiesa valdese, impegnata fortemente sul territorio dei diritti civili.
L’impiego dell’8×1000 alla Chiesa Cattolica
Già da tempo la Corte dei Conti ha accusato lo Stato italiano di disinteresse verso la distribuzione di parte dell’IRPEF. Nonostante ciò, la percentuale della popolazione che seleziona l’istituzione pubblica come beneficiaria dell’8×1000 è in crescita: 15,65% sul totale delle scelte nel 2017, 16,58% nel 2018 e 22,62% nel 2019.
Parallelamente, nonostante la legge che regola la distribuzione dell’8×1000 preveda cinque categorie d’intervento (fame nel mondo, conservazione dei beni culturali, calamità naturali, edilizia scolastica e assistenza ai rifugiati e minori stranieri), il rendiconto redatto dalla CEI sui proventi del 2021 rivela un differente impiego.
La prima voce tra le spese è “esigenze di culto e pastorale”: 366 975€. Essa comprende l’edilizia per il culto, i fondi per la catechesi e l’educazione cristiana e il funzionamento dei tribunali ecclesiastici regionali.
Solo successivamente troviamo gli “interventi caritativi” (283 000€), che vengono classificati come a “diocesi (per la carità), Terzo Mondo ed esigenze di rilievo nazionale”. La prima voce è la principale componente di questa seconda categoria di spese legate all’8×1000 e comprende 150 mila euro.