Perchè leggere questo articolo? Ramadan e calcio, uno scontro caldo. La Federcalcio francese ha vietato il tradizionale digiuno in nome del principio costituzionale della laicità. Ma gli atleti musulmani non vedono così rispettata la loro religione e minacciano di opporsi al divieto. Un caso che solleva questioni importanti sulla libertà religiosa e l’uguaglianza nel calcio, prodotto culturale europeo e occidentale impregnato di radici cristiane.
Viva la laicitè. E viva la Francia, multietnica, emblema dell’incontro tra culture e tradizioni diverse. È il ritornello della sinistra ogni volta che si parla di Parigi. Poi, slogan a parte, la vita vera fa emergere tutte le contraddizioni del Paese d’Oltralpe. In nome del principio della laicità, la Federcalcio francese vieta il Ramadan in nazionale. Dimenticandosi però dell’égalité e della liberté. La decisione della FFF di bandire il digiuno religioso durante le convocazioni nazionali mira a preservare la neutralità religiosa nello sport e la salute degli atleti. Tuttavia, questa scelta ha suscitato non poche critiche da parte dei giocatori musulmani, che ritengono che la loro libertà religiosa non sia rispettata. In particolare, il giovane centrocampista del Lione Mahamadou Diawara, convocato dall’under 19 della Francia, si è rifiutato di mangiare e si è ritirato. Al momento è l’unico atleta ad opporsi ufficialmente alle regole poste dalla Federazione, ma il malumore è palpabile tra le varie selezioni, in cui i calciatori di fede islamica sono tanti. Col rischio di creare una spaccatura netta per questioni religiose.
Quando Ramadan e laicità si scontrano sui campi di calcio
Il Ramadan e il pallone, una miscela dirompente di laicità e dogma. Il primo, non una quisquilia qualsiasi ma uno dei cinque pilastri dell’Islam. Il “mese caldo” – questa la traduzione letterale di Ramadan – impone ai fedeli di astenersi dal cibo e dall’acqua dall’alba al tramonto, per circa 29 giorni. Una prescrizione importante per i seguaci di Allah, ma seguirla alla lettera potrebbe incidere sulla preparazione degli atleti. La questione “digiuno sì, digiuno no” continua a dividere il mondo dello sport. Ma la Federcalcio francese ha preso una posizione netta a riguardo. Per la prima volta in modo ufficiale, è stato istituito un “quadro generale” che regola e vieta la pratica del digiuno religioso all’interno delle squadre nazionali. Sia che si tratti della maggiore, che delle giovanili.
Il presidente della Federazione Philippe Diallo, intervistato da Le Figaro ha spiegato che le nuove norme introdotte “assicurano che la religione non interferisca con gli atleti e con l’organizzazione collettiva“. Ciò significa che i giocatori di fede musulmana sono tenuti ad adattarsi al ritmo della propria squadra. Gli allenamenti non subiranno interruzioni e i pasti verranno consumati in gruppo. Questa scelta è stata però un pugno duro in Francia, dove la presenza della religione islamica è imponente in ogni aspetto della società, sport compreso.
Il digiuno è una questione di libertà individuale
Non si tratta del primo dibattito sul Ramadan nel mondo del calcio. Già nel 2023 alcuni calciatori convocati nella selezione Under 21 minacciarono di scioperare qualora gli fosse stato impedito di attenersi alle regole della religione islamica. Nonostante le proteste, la FFF e altri club hanno vietato completamente il digiuno durante le competizioni. Alcune federazioni, invece, hanno adottato un approccio flessibile, garantendo ai giocatori il supporto di nutrizionisti e programmi personalizzati. Anche la Premier League ha deciso di prevedere delle pause dei match dopo il tramonto, per consentire ai calciatori musulmani di rifocillarsi. Una novità regolamentare che ha lo scopo di evitare discriminazioni implicite su base religiosa.
Il digiuno è una questione privata che riguarda la libertà individuale, vietarlo significa imporre limitazioni per uomini e donne musulmani. Inoltre, rivendicare la presunta laicità dello sport contro il Ramadan non rappresenta un atto politicamente neutro. Nessuno infatti ha mai pensato di impedire di farsi il segno della croce quando si scende in campo (come Maradona). I calciatori cristiani sono liberi di tatuarsi sul corpo croci e Madonne, mentre il divieto dell’hijab in Francia è arrivato a essere discusso anche in Senato. Il principio della laicità dello sport appare quindi molto ambiguo. La differenza sostanziale è che, essendo il calcio un prodotto culturale principalmente europeo-occidentale, si tutelano e si tollerano soltanto le radici cristiane. Finendo per trovare “invadenti” le dimostrazioni di tutte le altre fedi.