Perché leggere questo articolo? Le opposizioni si accontenteranno di indire il referendum sull’autonomia, o magari vogliono anche provare a vincerlo? In tal caso, non sarà proprio una passeggiata. Schlein, Conte e Landini hanno bisogno di raddoppiare i propri voti, per non finire come Renzi, Craxi e Fanfani.
Il Fronte Popolare de noialtri si è finalmente riunito. Per una battaglia che rischia di essere perdente. Depositato il quesito e formato il comitato, per l’opposizione è il momento di preparare la campagna che dovrebbe condurre il paese al voto tra aprile e giugno 2025. Ma che rischia di essere minata da un dubbio. Il referendum sull’autonomia vogliamo solo indirlo, o magari anche vincerlo? Nel secondo caso, le cose iniziano a farsi decisamente più complicate per il Campo – per una volta – Largo. Quorum e storia dei referendum potrebbero fare il gioco della destra.
Il quorum è una tegola sul referendum: Schlein & co. devono raddoppiare i voti
L’operazione referendum è scattata. Lo scoglio che rischia di renderlo un boomerang è il quorum da superare. Per vincere, le opposizioni riunite devono portare a votare il 50 per cento + 1 degli italiani, non si scampa. Sulla carta è una parola, nella realtà è un’impresa. Servono 25 milioni e mezzo di voti. A dare l’idea del coefficiente di difficoltà è l’unico assente del Campo Largo, Carlo Calenda. “Per raggiungere il quorum dovremmo portare a votare tredici milioni circa di italiani in più rispetto a quelli che hanno votato alle europee i partiti che lo propongono”. Un tweet del leader di Azione mostra la montagna che le opposizioni devono sormontare per vincere il referendum.
Per capirsi, se le Europee del mese scorso fossero state un referendum, non sarebbe passato. L’8 e 9 giugno scorso si è recato alle urne solo il 49,69 dei 51 milioni di aventi diritto. Il centrosinistra, però, dovrà convincere a recarsi ai seggi ben più dello 0,5 per cento degli elettori mancanti. Alle Europee quello che ancora era ben lontano dall’essere un Campo Largo collezionò poco più di 13 milioni di voti (5,5 il Pd, oltre 2,5 il M5s, 1,5 Avs e 2 Renzi e Bonino insieme con le altre liste). Il quorum per il referendum contro l’Autonomia sarà di 26 milioni. Le opposizioni hanno meno di un anno per raddoppiare i propri elettori.
La storia contro: Schlein, Conte e Landini come Fanfani, Craxi e Renzi?
Non solo la statistica, anche la storia gioca contro i leader. Non solo a sinistra: quello del referendum è un’arma temutissima. Lo sapevano bene i democristiani. Nel 1946, ad esempio, Alcide de Gasperi si guardò bene di dare un’indicazione di voto al proprio elettorato nella scelta tra monarchia e repubblica. Dopo quella prima storica consultazione, ci vollero 24 anni per avere una legge istitutiva dei referendum. Ad ogni occasione buona, infatti, il referendum si rivelò un clava per colpire il potere.
Nel 1974 Fanfani – allora plenipotenziario democristiano, ma oggi lo considereremmo molto più a sinistra di molti leader del Campo Largo – venne mandato a casa dal referendum abrogativo sul divorzio. Craxi un referendum lo vinse, quello del 1984 in cui sconfisse la battaglia per la scala mobile del Pci di Berlinguer. Ma l’inizio della fine per il Cinghialone ha una data: 9 giugno 1991, data del referendum sulle preferenze. Craxi invitava gli italiani ad “andare al mare”, salvo poi finirci lui, tre anni dopo in esilio ad Hammamet. A casa, ma solo temporaneamente è stato poi mandato Matteo Renzi per colpa del referendum del 2016.
Referendum, mission impossible?
Da tempo i referendum non sono più considerati strumenti in mano alla politica. L’ultimo a passare, per capirsi, è stato nel 2011 sull’acqua pubblica. Un recente sondaggio mostra come l’82 per cento degli intervistati conosca “poco” o per “nulla” la legge sull’Autonomia. Il 54% dichiara che non andrebbe a votare un eventuale referendum. Quella della Campo Largo è una crociata contro i mulini a vento dell’astensionismo. Uno scontro non per battere la destra, ma per capire chi comanda a sinistra. L’unica vera ancora di salvezza arriva dalla Corte Costituzionale, che potrebbe dichiarare inammissibile il quesito del referendum. Una legge di attuazione di una norma costituzionale – come quella Calderoli – non è referendabile alla stregua di una legge ordinaria. Un tecnicismo potrebbe salvare la tattica suicida delle opposizioni.