L’election day è alle porte: domenica 12 giugno si vota dalle 7 alle 23. In quasi 1000 comuni si vota per il primo turno delle elezioni amministrative – le principali città al voto sono Palermo, Genova, L’Aquila e Catanzaro e 26 capoluoghi di provincia. Ma il menù della giornata elettorale prevede anche un referendum sulla giustizia, promosso da Radicali e Lega. Saranno 5 i quesiti di natura legale su cui i cittadini sono chiamati ad esprimersi. La data estiva, la complessità di 5 quesiti tecnici e la mancanza di convinzione da parte dei partiti fanno pensare al quorum come a un miraggio. La macchina referendaria però continua a muoversi, con gli esperti e attivisti che hanno dato vita a comitati per promuovere la ragioni dei favorevoli e dei contrari al referendum abrogativo. Ecco le ragioni del “Sì” e quali quelle del “No” sui singoli quesiti.
L’abrogazione della legge Severino
Il primo dei cinque quesiti referendari riguarda l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche pubbliche dei politici, secondo la cosiddetta “legge Severino” del 2012. Allo stato attuale, sono interdetti dalle pubbliche cariche i condannati in via definitiva per reati di mafia o terrorismo, per reati contro la pubblica amministrazione e per pene superiori a quattro anni.
Soltanto per gli amministratori locali, la legge Severino prevede la sospensione temporanea del mandato anche in caso di condanna non definitiva, fino a un massimo di un anno e mezzo. Questo è il punto più criticato dal comitato per il “Sì” – promosso tra i vari dall’Unione Camere penali – che ritiene la legge lesiva della presunzione di innocenza. Mentre il “Comitato per il No ai referendum sulla giustizia”, promosso anche dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, lega la legge all’articolo 54 della Costituzione, secondo cui le funzioni pubbliche devono essere con disciplina e onore.
La limitazione delle misure cautelari
Il secondo quesito modifica le cosiddette “misure cautelari”, i provvedimenti che un giudice può disporre su una persona non ancora condannata (arresti domiciliari, custodia in carcere o in un luogo di cura). Il quesito referendario si propone di modificare l’articolo 274 del codice di procedura penale, riducendo le specifiche solo a casi di estremo e concreto pericolo che l’indagato possa commettere reati con l’uso di armi, con la criminalità organizzata o contro l’ordine costituzionale.
Per i sostenitori del sì, la modifica attenuerebbe l’aumento costante negli anni di un provvedimento che dovrebbe essere un’eccezione. Secondo i sostenitori del no, allo stato attuale le possibilità sono già opportunamente circoscritte. E una loro ulteriore limitazione comporterebbe un rischio per la sicurezza dei cittadini.
La separazione delle funzioni tra magistrati
Il terzo quesito è forse il più discussio: la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. I primi svolgono la funzione di giudice, i secondi corrispondono ai pubblici ministeri, quindi all’accusa. Entrambi ad oggi seguono lo stesso percorso formativo e possono cambiare funzione fino a quattro volte. Il referendum vuole eliminare a monte la possibilità per giudici e pm di cambiare.
Per i favorevoli, il referendum garantirebbe una maggiore imparzialità dei giudici. Secondo i sostenitori del no, la magistratura dovrebbe essere un corpo unico e quindi non è possibile imporre una separazione definitiva, all’inizio della carriera, tra le funzioni requirenti e giudicanti.
La valutazione dei magistrati
Il quarto punto è sulle modalità con cui viene valutata la professionalità dei magistrati. Ogni quattro anni i magistrati ricevono una valutazione del loro operato dai consigli giudiziari, organi “ausiliari” del Csm composti “togati” e da “laici” (avvocati e professori universitari). Attualmente, solo i “togati” partecipano attivamente al processo di valutazione, mentre i “laici” sono esclusi, e il referendum chiede che anche i laici possano partecipare.
Il fronte del sì ritiene la modifica una via per attenuare il peso delle correnti; mentre il no sostiene che la questione debba essere risolta per via legislativa e non referendaria. Anche perché il quesito potrebbe rischiare di dar vita a situazioni in cui avvocati e magistrati possano ingraziarsi tra loro.
Le firme per candidarsi al Csm
L’ultimo quesito è sulle modalità con cui i magistrati possono candidarsi al Csm. Al momento, servono almeno 25 (e massimo 50) firme raccolte tra altri magistrati. Il quesito chiede di abrogare quest’obbligo, facilitando quindi le procedure.
Secondo i sostenitori del sì, sarebbe un grosso passo verso l’attenuazione delle correnti. Per i contrari è logico che nella magistratura, come in ogni altro concorso elettorale, un candidato parta da una base di consenso minima.