La riforma della Giustizia penale approvata dal Consiglio dei Ministri giovedì scorso è un punto di partenza, non di arrivo. L’obiettivo finale deve essere un cambiamento sostanziale – della nostra mentalità, prima ancora che delle norme – che collochi saldamente il nostro ordinamento tra i modelli liberal-democratici, dove perciò i valori fondanti siano quelli tipici del giusto processo e del diritto penale moderno: presunzione di non colpevolezza, ragionevole durata, eccezionalità della privazione della libertà personale prima di una sentenza di condanna definitiva, divieto di applicazione retroattiva delle norme di penali sfavorevoli, chiarezza dei precetti, proporzionalità delle sanzioni e pieno rispetto della finalità rieducativa della pena.
Riforma della Giustizia, c’è tempo fino al 31 dicembre per approvarla
Il tempo, a bene vedere, c’è: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.), prevede infatti che il Parlamento abbia tempo fino al 31 dicembre 2021 per approvare la riforma licenziata giovedì scorso dal Consiglio dei Ministri, sottoforma di proposte di legge delega (con la sola modifica riguardante la prescrizione del reato, destinata a essere immediatamente esecutiva entro la fine dell’anno, non appena ci sarà l’approvazione definitiva dei due rami del Parlamento). Il Governo avrà poi un altro anno di tempo per dare attuazione alle deleghe parlamentari. Questo significa che il “nuovo” processo penale entrerà a regime a inizio 2023, con la sola esclusione della riforma della prescrizione: pur conservando il suo blocco indifferenziato per assolti e condannati, simbolo dell’azione politica del Ministro pentastellato Bonafede, il Governo Draghi introduce la decadenza dell’azione penale in caso di lungaggini processuali. L’imputato, anche se condannato in primo grado, verrà prosciolto per improcedibilità dell’azione penale se il giudizio di appello durerà più di due anni, e quello di Cassazione più di uno. Per i reati di maggiore gravità, compresi quelli in materia di corruzione, oltre che per i procedimenti di particolare complessità – ad esempio per numero degli imputati o numerosità e difficoltà delle questioni da trattare – è prevista la possibilità di una proroga di sei mesi per l’appello e di un anno per la fase di legittimità. Sono i termini previsti dalla legge Pinto (n. 89/2001), che individua i tempi oltre i quali la durata del processo non è più “ragionevole” e legittima un risarcimento per chi vi è stato sottoposto.
Prescrizione: una battaglia politica logorante per la riforma della giustizia
Quella che si è consumata intorno alla prescrizione è stata una logorante battaglia politica e di comunicazione, espressione di un approccio culturale giustizialista che ritiene accettabile che un cittadino possa essere tenuto sotto processo senza limiti di tempo. In realtà, era poi un falso problema – strumentalizzato per fini di consenso popolare – dato che i numeri dei procedimenti penali colpiti da prescrizione era già basso prima che si vedessero gli effetti della riforma del 2017 del Ministro Orlando, che prevedeva un congelamento complessivo di tre anni del suo corso tra la fase di appello e quella di Cassazione. Stiamo parlando del 4,3% su scala nazionale, nel 2020, per i procedimenti del Tribunale collegiale (cioè quello che si occupa dei reati più gravi), con un numero di archiviazione pari al 60% (si veda, sul punto, l’indagine del Sole 24 Ore, 17 maggio 2021).
Lasciata alle spalle la disfida sulla prescrizione – nella speranza che le tensioni all’interno del Movimento 5 Stelle non facciano saltare in Parlamento l’accordo raggiunto in Consiglio dei Ministri – è bene tornare al tema iniziale, che è poi quello realmente importante per il nostro futuro. Come riuscire a vincere una battaglia che è, principalmente, culturale?
Il ruolo dei Radicali (e dei referendum) sulla riforma della giustizia
Certamente avranno un ruolo molto importante i referendum sulla Giustizia proposti da Lega e Radicali. Se è pur vero che essi non riguardano direttamente le modifiche al processo penale oggetto della riforma approvata dal Consiglio dei Ministri, non si può negare che abbiano una valenza politica e culturale molto importante rispetto all’idea di Giustizia che vogliamo regoli i nostri diritti.
I referendum dei Radicali appoggiati dalla Lega
Responsabilità civile diretta, e non mediata dallo Stato, dei magistrati che causano danni ingiusti ai cittadini per dolo o colpa grave; separazione tra giudici e pubblici ministeri, in modo da garantire effettivamente indipendenza e terzietà del giudice, come prevede la Costituzione; ricorso alla custodia cautelare in carcere solo nei casi gravi, evitando che questa si trasformi in un’indebita anticipazione di giudizio, con effetti criminogeni sull’interessato, soprattutto se fragile o emarginato, in conseguenza del contatto con gli ambienti carcerari; abolizione della raccolta delle firme dei magistrati che si vogliono candidare al Consiglio Superiore della Magistratura (il loro organo di autogoverno), in modo da disincentivare gli effetti nocivi del correntismo messi a nudo dalla vicenda Palamara; possibilità di voto per avvocati e magistrati sulle valutazioni professionali dei magistrati da parte dei Consigli Giudiziari (cioè l’emanazione del Consiglio Superiore della Magistratura a livello locale), per evitare autoreferenzialità da parte di chi esercita la giurisdizione; abrogazione dell’automatismo dell’applicazione delle sanzioni dell’incandidabilità o ineleggibilità previste dalla Legge Severino, in modo da lasciare al giudice la valutazione sul caso concreto.
E’ la sintesi dei quesiti referendari che andremo a votare, se raggiungeranno il quorum, e che hanno un unico comune denominatore. Rifarsi ai principi del diritto penale liberal-democratico, lasciandosi alle spalle una tortuosa stagione di giustizialismo e “pan-penalismo” che ha visto utilizzare la legge penale come un simbolo per finalità propagandistiche, invece che come mezzo per regolare la convivenza civile, reprimere gli abusi e riparare i torti.
La riforma della giustizia arriverà al traguardo?
Ecco perché un successo convinto dei sì su tutti i 6 quesiti sarebbe un formidabile stimolo per portare a termine la riforma della giustizia penale senza dover pagare il prezzo di “mediazioni al ribasso” con le forze giustizialiste che sostengono la compagine di governo. Ma – e questa è la cosa più importante – l’affermazione dei sì sarebbe anche la migliore dimostrazione della netta opzione degli italiani per quei valori liberali e democratici che sono parte della nostra storia e cultura giuridica sin dai tempi di Cesare Beccaria: valori che mettono sempre al centro di una disputa giudiziaria l’uomo e i suoi diritti. “Non vi è libertà ogni qualvolta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”, ha scritto il grande giurista milanese: sono parole di oltre 200 anni fa, ma rivestono ancora una lungimirante attualità e devono essere l’asse portante per chi vuole raccogliere le sfide della modernità.