All’interno del dibattito politico sulla giustizia si fa sentire sempre di più il tema delle intercettazioni che, riconosciute strumento essenziale per le indagini, di legislatura in legislatura, sono al centro dell’attenzione per la riforma dedicata. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Fornari, avvocato penalista e fondatore dello Studio Legale Fornari e Associati.
Cosa ne pensa sulla riforma delle intercettazioni?
Penso che si tratti di un intervento doveroso, e penso altresì che la reazione indignata di parte della magistratura inquirente e dei giornalisti d’inchiesta sia del tutto ingiustificata. Gridare al bavaglio, manifestare allarme per il futuro della libertà di stampa e – addirittura – della democrazia, evocare mobilitazioni e scioperi da parte di chi si occupa di cronaca e, segnatamente, di cronaca giudiziaria, mi sembra francamente il frutto di una interpretazione distorta del proprio diritto e dovere di “fare informazione”. La cronaca giudiziaria, è cosa nota, oggi risulta purtroppo quasi sempre appiattita sulle tesi accusatorie degli investigatori. Tesi che passano, spesso, per una lettura – ça va sans dire, intenzionalmente e sistematicamente parziale – delle intercettazioni.
Che problemi ci possono essere in un abuso mediatico delle intercettazioni?
Quante volte è capitato che estratti delle conversazioni telefoniche tra gli imputati, ma spesso anche tra gli imputati e soggetti estranei al procedimento penale, siano stati oggetto di una selvaggia diffusione mediatica? E ancora, quante volte è capitato che tali estratti fossero del tutto irrilevanti rispetto all’inchiesta, e riguardassero aspetti della vita personale dei soggetti intercettati rispetto ai quali non c’è evidentemente alcun interesse pubblico, e che potremmo pacificamente ricondurre alla categoria del becero pettegolezzo? Ecco, io penso che sia giusto porre fine a questo tritacarne mediatico. Ed è in tale direzione che si muove la riforma delle intercettazioni, quando pretende che vengano eliminati dal fascicolo processuale i dati dei non indagati che risultino captati nelle intercettazioni disposte dagli inquirenti.
La presidente Bongiorno ha affermato in merito alla questione: “Nessun blackout informativo, norme volte a tutelare terzi”. È d’accordo?
Direi che la Presidente Bongiorno fa uso della previsione sulla “tutela dei terzi non indagati” come manifesto della riforma. In realtà, il testo in discussione è più ampio, e le perplessità degli operatori – lato sensu – del settore sono legittime, come di fronte a ogni novità normativa. Cionondimeno, non credo che le norme su cui si sta polemizzando potranno seriamente mettere a repentaglio la libertà di informazione.
Il vero baricentro garantista della riforma consiste nella stretta sui nomi dei non indagati. Che ripercussioni ci saranno secondo lei?
Io penso che il risultato voluto dalla riforma sia non solo auspicabile, ma rappresenti una indispensabile norma di civiltà. Accennavo prima alla barbara prassi di “fare notizia” mediante la pubblicazione di informazioni tratte sì dai fascicoli d’indagine, ma del tutto irrilevanti rispetto ai fatti oggetto d’inchiesta, sol perché appetibili per un’opinione pubblica sempre più assuefatta – e per l’effetto anche desiderosa – di leggere e conoscere pettegolezzi e dicerie. Credo che una simile previsione normativa potrebbe aiutare a porre un significativo argine a tale prassi. Peraltro, i brogliacci completi rimarrebbero comunque disponibili e consultabili per le parti processuali: la novità sostanziale consisterebbe nell’evitare che i nominativi e i dati delle persone estranee alle indagini presenti nelle intercettazioni vengano riversati di default agli atti e, quindi, che possano essere oggetto di pubblicazione da parte dei giornali.
Continui, avvocato…
Ciò premesso, che non si tratti di una previsione di per sé risolutiva del problema è constatazione ovvia e amara: accade infatti di frequente che le intercettazioni che troviamo sulla stampa non siano legittimamente pubblicabili (ad esempio, perché contenute nelle ordinanze cautelari), eppure siano nella disponibilità dei giornalisti. Da questo punto di vista, è necessario intervenire a monte, prevedendo maggiore trasparenza nella catena dell’informazione e forme di responsabilità della magistratura e delle forze di polizia. Quanto alle ripercussioni, non credo che una simile previsione possa essere realmente di intralcio per le indagini sui reati dei “colletti bianchi”, come ventilato da esponenti della magistratura. Nel caso in cui dalle intercettazioni emergessero effettivamente dati sull’illecito agire di figure solo apparentemente estranee al perimetro dell’inchiesta, credo che l’assetto voluto dalla riforma non costituirebbe un insormontabile ostacolo all’approfondimento investigativo.
È favorevole o contrario all’inserimento nei decreti della norma che introduce test attitudinali per i magistrati?
In linea di principio sono favorevole all’introduzione di test attitudinali ai fini dell’ingresso in magistratura. Quello dei magistrati è un ruolo che richiede, tra le altre cose, equilibrio ed equità, virtù imprescindibili ai fini del consapevole esercizio dell’autonomia loro riconosciuta dalla Costituzione. Negli ultimi tempi, segnati da una profonda crisi della magistratura e della deontologia giudiziaria, tali virtù, al pari di altre, sono state messe a dura prova da svariate (e, non lo si nega, umane) ragioni e passioni. Eppure, i magistrati sono e rimangono interpreti e tutori dell’autorevolezza dello Stato, compito di massima delicatezza.
Insomma, quella del magistrato è una professione per cui servono innegabili doti professionali e personali…
Per assolvere tale compito, evidentemente non basta la pur eccelsa preparazione tecnico-giuridica e l’indiscussa professionalità: è a mio avviso necessario che i magistratu abbiano – e dimostrino, quotidianamente, di avere – altresì una serie di irrinunciabili attitudini e qualità personali e umane, che non sono attualmente oggetto di alcun vaglio. Perché non valutare, ad esempio, i tratti personologici e gli assetti motivazionali e valoriali, o ancora la capacità meditativa dell’aspirante magistrato? Naturalmente, come ogni nuova misura, bisognerà ponderarla attentamente una volta che sarà individuata – quantomeno – nei suoi lineamenti quantomeno – essenziali. Allo stato, stiamo ragionando soltanto su un’ipotesi dai contorni sfumati, che – pur con le dovute riserve e cautele – personalmente accolgo con favore.
Si va verso l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. L’Ue ha detto in merito: “Si agevola la corruzione”. È d’accordo?
Penso che l’abrogazione della fattispecie di “abuso d’ufficio” possa effettivamente avere un impatto negativo sul contrasto alla corruzione.
Con il via libera all’eliminazione di questa ipotesi di reato voluto dalla maggioranza sono convinto si concretizzi un rischio che non ci possiamo permettere di correre, da Paese in cui la corruzione è notoriamente un male endemico: quello di lasciare impunita una zona grigia che, per certi versi, rappresenta un’anticamera dei fenomeni corruttivi. Tuttavia, non posso esimermi dal riconoscere che la norma incriminatrice, per come attualmente configurata, è del tutto evanescente.
Per quale motivo, a suo avviso?
Le percentuali di sentenze di condanna per abuso d’ufficio sono risibili: l’attuale “norma vivente”, per via tanto della formulazione quanto della sua interpretazione giurisprudenziale, rende oltremodo difficile il raggiungimento della piena prova della responsabilità penale oltre ogni ragionevole dubbio. Tuttavia, per le ragioni che ho accennato, escluderei che versiamo nello scenario in cui eliminare il problema alla radice, espungendo il reato dal nostro ordinamento, sia una soluzione percorribile. E ciò anche alla luce del “pacchetto anticorruzione” proposto dalla Commissione UE all’indomani del Qatar-gate. Ciò che sarebbe auspicabile, piuttosto, è un ripensamento ponderato della fattispecie.