Risolvere le crisi regionali, spegnere guerre e guerriglie più o meno vaste, garantire la sicurezza nelle aree più calde del continente. Il tutto senza magari doversi più affidare a fantomatici “ombrelli militari” provenienti da oltreoceano o da chissà dove. Sono tantissimi gli ambiti nei quali per l’Unione europea sarebbe quanto mai utile poter contare su un esercito. I punti principali sono tre, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo se volessimo considerare anche le conseguenze di ciascun aspetto citato. Ebbene, ad oggi l’Ue continua a non avere niente di simile.
L’Europa è nuda
La guerra in Ucraina ha improvvisamente riacceso i riflettori su un problema fin troppo trascurato dai leader europei. Un problema appena abbozzato, e di tanto in tanto citato giusto da un manipolo di leader che, a turno, hanno provato senza successo a contendersi la guida della locomotiva europea (in primis Emmanuel Macron). Alla fine, al netto di ogni buona volontà, l’Europa ha dato un’occhiata allo scenario ucraino per poi guardarsi allo specchio e riscoprirsi, per l’ennesima volta, nuda. Il motivo di ciò è semplice, e lo si capisce semplicemente assistendo allo svolgimento dei negoziati diplomatici in corso in questi ultimi giorni.
Attorno al tavolo che conta c’era ovviamente la Russia, c’erano gli Stati Uniti, Israele, la Turchia e pure la Cina, ma non l’Unione europea. Che, senza un esercito proprio e un’adeguata agenda internazionale, si troverà costretta ad assistere, a distanza siderale, due eventi che potrebbero ridisegnare la geopolitica globale: la ricostruzione dell’Ucraina quando il conflitto tra Kiev e Mosca sarà un lontano ricordo; e la gestione dei flussi migratori causati dalla guerra. Il paradosso è che gli altri decidono il da farsi, mentre l’Ue è costretta a prendere quel che capita.
Il nodo dei rifugiati
Strettamente connesso al futuro dell’Ucraina è il problema dei flussi di rifugiati in fuga da Kiev e dintorni. Un bel problema, perché l’Ue dovrà farsi trovare pronta ad accogliere quanti più ucraini possibili e dar loro un dignitoso presente.
“L’ingente arrivo di sfollati dall’Ucraina ha già avuto un forte impatto sulle politiche di asilo e immigrazione europee, nel senso che per la prima volta l’UE ha deciso di attivare una Direttiva che era stata adottata nel 2001 ma rimasta inapplicata fino ad ora, grazie alla quale a tutti i cittadini di nazionalità Ucraina e di altri paesi terzi residenti in Ucraina con permesso di lungo soggiorno o con permesso per protezione internazionale, verrà rilasciata una protezione temporanea, consistente in un permesso di soggiorno di un anno, rinnovabile fino a tre anni”, ha detto a True-news Andreina De Leo, ricercatrice presso la Maastricht University Faculty of Law, esperta in asilo e immigrazione dell’Ue.
Una decisione storica
L’attivazione di questa Direttiva è una decisione storica. “Anche perché durante la cosiddetta crisi dei rifugiati nel 2015 la direttiva non è stata attivata, e la risposta dell’Unione europea e degli stati membri all’afflusso di richiedenti asilo in fuga dalla Siria (ma anche da altri paesi fortemente instabili come Afghanistan e Iraq) è stata molto meno solidale e più repressiva, basata più sul tentativo di delegare la responsabilità dell’accoglienza dei richiedenti asilo ad altri paesi, come la Turchia, piuttosto che di mostrare solidarietà a persone in fuga da situazione di conflitto”, ha aggiunto De Leo.
Al momento, i paesi dell’Ue sono unanimi nella decisione di garantire un permesso di soggiorno temporaneo a coloro che arrivano dall’Ucraina, e non sono stati evidenziati particolari problematiche. Per di più, la Commissione Europea sta mobilitando una serie di fondi emergenziali per supportare gli Stati Membri a far fronte alle persone in arrivo. “Si vedrà tra qualche mese, a mio parere, se gli stati membri saranno in grado di garantire un adeguato accesso alle strutture scolastiche e di socializzazione, considerando l’alto numero di minori”, ha puntualizzato, ancora, De Leo.
Ma che cosa succederà a questi rifugiati, una volta che la guerra sarà terminata? “La direttiva per la protezione temporanea prevede che alla scadenza del permesso di soggiorno, gli stati membri debbano garantire accesso alle normali procedure di richiesta di asilo per coloro che ritengono che il loro ritorno possa mettere a rischio la propria incolumità”, ha specificato De Leo, sottolineando che “per coloro che non presentano domanda di asilo o la cui domanda viene rigettata, è previsto il rimpatrio”. “A mio parere dipenderà molto dalla durata della situazione di conflitto e a quali saranno le condizioni al suo termine”, ha concluso.
L’importanza di un esercito comune
Da qualunque prospettiva la si analizzi, il conflitto ucraino rappresenta una cartina al tornasole che fa emergere i nodi spinosi in seno all’Ue. Ma l’Ucraina rappresenta anche una sorta di ultima chiamata alla quale Bruxelles dovrà rispondere al più presto. Proprio adesso, a son di ascoltare i messaggi di aiuto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è tornata di moda l’idea di forgiare un esercito comune. Se ne parla dal 1954, ovvero dal naufragio del progetto della Comunità europea della difesa. Altri tempi, altre storie. Che non hanno tuttavia impedito all’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Josep Borrell, di presentare, lo scorso novembre, la Bussola strategica. Stiamo parlando di una proposta per dare vita a un comune approccio alla difesa.
Il perno principale ruoterebbe (è ancora un’ipotesi) attorno ad un nucleo di 5mila soldati che andrebbero a costituire una forza d’intervento rapido da schierare, all’occorrenza, negli scenari di crisi. Qualcosa del genere, ad essere onesti, c’è già. Sono gli European battlegroups, risalenti al 2007 ma mai utilizzati in combattimento.
Gli ostacoli all’esercito comune
Insomma, serve un cambio di marcia ma gli ostacoli sono enormi. I principali sono tre.
Il primo riguarda la relazione tra Washington e Bruxelles. Fintantoché l’Ue si sentirà cullata dagli Stati Uniti, e dunque dalla Nato, non potrà esserci spazio per un esercito comune. Tra l’altro 23 dei 27 membri dell’Ue fanno parte della Nato (restano esclusi Irlanda, Austria, Svezia e Finlandia). La possibile soluzione per rompere questo cordone ombelicale senza danneggiare il rapporto con gli Stati Uniti ci sarebbe. E consisterebbe, per l’Europa, nell’inseguire un’autonomia strategica pur restando partner privilegiata della Nato.
Il secondo ostacolo comprende invece gli interessi e gli obiettivi dei Paesi membri dell’Ue. In politica estera, ogni governo insegue traguardi diversi, per giunta non sempre condivisi dai partner. Pensiamo al testa a testa italo-francese sulla Libia oppure alla questione relativa al Mediterraneo tra Parigi, Roma e Berlino.
Da ultimo, ogni Paese, in merito all’istituzione di un esercito comune, la pensa a modo suo. La Francia è sempre stata favorevole, mentre gli Stati dell’Europa centro-orientale, che hanno sempre avuto timore di possibili rigurgiti post-sovietici della Russia, si sentono sicuri sotto il doppio ombrello Nato-Usa. E ancora: il Regno Unito è schierato sul fronte del no, la Germania del forse (dipende se questo esercito avvantaggerà troppo la Francia), mentre l’Italia è a metà del guado (potrebbe fungere da mediatrice, se non fosse attraversata da continui terremoti politici interni).
Quale futuro?
L’Europa, guerra e guerriglie a parte, ha ben poca autonomia pure quando si tratta di decidere vicende che la riguardano da vicino. Tornando all’Ucraina, il conflitto ha demolito intere città ucraine. L’intero Paese avrà bisogno di un ingente supporto economico, che non potrà certo basarsi su prestiti e finanziamenti da restituire. L’Europa, sempre che una parte di Kiev resti nell’alveo europeo, dovrebbe farsi trovare pronta a ricostruire la nazione ucraina onde evitarne il collasso economico, e dunque altri danni a cascata sul continente. L’Ucraina, appare evidente, non può fare a meno dell’aiuto economico, militare e politico dell’Europa. Per questo serve un esercito comune europeo.