“315 richieste d’amicizia ed una valanga di follower su instagram in pochi minuti. Grazie. Ho detto solo la verità. Il capogruppo Stefano Galli quello ci disse, ed io (con altri) non fui d’accordo. Votai contro. E lo rifarei”. Monica Rizzi non nasconde oggi la propria soddisfazione dopo essere tornata alla ribalta grazie al servizio di Report andato in onda nella serata di domenica 8 ottobre. Tralasciando la scelta di misurare il raggiungimento del proprio obiettivo con il numero di follower guadagnati sui social, c’è una cosa che più di tutte appare ironica: Rizzi pare convinta di aver servito una sorta di vendetta freddissima nei confronti dei suoi compagni politici di un tempo. E lo fa attraverso una inchiesta televisiva. Proprio lei, per la quale un servizio delle Iene andato in onda dodici anni fa rappresentò di fatto la pietra tombale sulla carriera politica. Andiamo con ordine.
“La Russa Dynasty” su Report: le accuse di Monica Rizzi
Al centro della puntata di Report è stata come noto l’inchiesta “La Russa Dynasty”, che ha ricostruito le origini del potere e della ricchezza della famiglia La Russa, a partire dalla ascesa di Antonino, padre di Ignazio e Romano, nella originaria Paternò. E da lì alla Lombardia, ma senza recidere i legami con la Sicilia. E qui entra in gioco la testimonianza di Monica Rizzi. Nel 2004, governatore il Celeste Roberto Formigoni, l’allora consigliere leghista assieme al resto della maggioranza fu chiamata a digerire una scelta divisiva. L’affidamento decentrato dei call center della sanità lombarda ad un operatore siciliano: la Midica di Paternò, di cui era a capo Gaetano Raspagliesi, cognato di Romano La Russa. Il teorema presentato dalla trasmissione di Sigfrido Ranucci è che tale società sarebbe stata il contenitore ideale per il più classico dei voti di scambio: un lavoro al call center in cambio di preferenze verso i politici graditi al dominus La Russa. Con i soldi (e la salute) dei lombardi. Intervistata da Report, Rizzi racconta tutto il suo turbamento dell’epoca: “Chiedemmo spiegazioni ai capigruppo e ci dissero che non erano cose che dovevano interessare noi consiglieri (…) Così doveva essere, c’era un accordo politico e la questione stava in capo da An, era una decisione dell’allora capogruppo Romano La Russa. E così fu fatto“.
Rizzi e le inchieste giudiziarie: dal dossieraggio sui nemici del Trota a Rimborsopoli (ma sempre assolta)
Vicende di quasi venti anni fa. Nel mezzo, come accennato, la carriera politica di Monica Rizzi ha decisamente deragliato, travolta anche da inchieste giudiziarie (dalle quali è sempre uscita con assoluzioni o proscioglimenti) e soprattutto dalle violente lotte intestine all’interno del Carroccio, nei mesi di fine impero che posero fine all’egemonia di Umberto Bossi e del suo cerchio magico – al quale Rizzi era molto vicina – spazzato dalle scope di Roberto Maroni. Rizzi era finita indagata per una presunta attività di dossieraggio nei confronti di nemici di Renzo Bossi interni al partito. Per il Trota, Rizzi era stata una sorta di precettrice politica, contribuendo alla sua elezione in consiglio regionale nel 2010 con quasi 13mila preferenze. L’inchiesta a carico di Rizzi sarebbe poi stata archiviata per “infondatezza della notizia di reato”. Così come sarebbero caduti – poichè prescritti – gli addebiti nei suoi confronti nella nota vicenda di Rimborsopoli.
Rizzi e la vicenda della laurea dichiarata ma mai ottenuta
Ma su Monica Rizzi, che nel frattempo era divenuta assessore regionale e che si era poi dovuta dimettere a seguito del clamore delle inchieste, era già caduto l’oblio politico. A condannarla presso l’opinione pubblica era stata un’altra inchiesta, la prima e probabilmente più veniale. Nel 2005 Monica Rizzi ottenne dalla Provincia di Brescia l’assegnazione di un programma in ambito psicologico, con un budget di mille euro, presentandosi nel proprio curriculum come laureata in psicologia. Cosa che tuttavia non era vera. La sua difesa anni dopo riuscì a persuadere il giudice dell’udienza preliminare che la Provincia non fu tratta in inganno dalla falsa informazione contenuta nel curriculum in quanto la laurea non era un requisito fondamentale e Rizzi fu scelta in virtù dell’esperienza maturata curando un altro programma quando l’anno precedente era assessore ai Servizi sociali di Darfo Boario Terme.
Monica Rizzi alle Iene: l’epico inseguimento di Nadia Toffa
Vicenda a suo modo minore, ma si sa che sulle false lauree molte carriere si sono andate a infrangere. Giannino docet. Nel caso di Monica Rizzi, poi, rovinoso fu il servizio andato in onda alle Iene il 30 marzo 2011 (QUI IL LINK). La compianta Nadia Toffa la andò a cercare per chiederle direttamente se la laurea ce l’aveva o no. Ne seguì una sequenza semplicemente cult, con l’allora leghista che, alla vista delle telecamere, si diede a una fuga a rotta di collo nella notte. Un inseguimento ad alta tensione degno di un film di Jason Bourne, proseguito all’interno di un ristorante e conclusosi nel parcheggio, con l’assessore lombardo a ripetere ossessivamente “No, non è vero” cercando di mascherare il proprio volto dietro la ingombrante borsetta. Non proprio scene edificanti, insomma. Immagini che rimasero impresse forse anche più della bugia sulla laurea.
E dunque a distanza di dodici anni Monica Rizzi si riaffaccia sulle scene. Con l’evidente intenzione di togliersi diversi sassolini dalle scarpe nei confronti di qualche nemico di allora. E la domanda in molti spettatori magari ancora memori dello show alle Iene può sorgere spontanea: ci dobbiamo credere, questa volta?