Perché leggere questo articolo? Il direttore editoriale di Telelombardia e Antennatre, Fabio Ravezzani, commenta l’accordo tra Roma e Riyadh Season. Una vicenda che nella Capitale in lizza per Expo 2030 si sta trasformando in un vero e proprio derby.
A Roma la partita di Expo 2030 è diventata quasi un derby, perché tra le conseguenze prevedibili dell’accordo di sponsorizzazione tra il club giallorosso e Riyadh Season, c’è anche chi è arrivato a tirare per la giacchetta Claudio Lotito, ben lieto di gettarsi nella mischia lasciando intendere la possibilità di ospitare sulle maglie della Lazio il logo del comitato promotore di Expo 2030 a Roma. Intanto, mentre tutto è ancora aperto (in lizza, oltre a Roma e Riyadh, c’è anche la sudcoreana Busan), si registrano dalla Capitale gli strali dell’ex sindaca e oggi presidente della Commissione speciale Expo 2030, Virginia Raggi, che in un’intervista a Repubblica, una settimana fa, aveva definito la sponsorizzazione “una vergogna”, e recentemente ha continuato a esporsi bollando la scelta come “inopportuna”, utilizzando parole più morbide, ma che non celano l’impressione dello sgarbo istituzionale, magari non voluto, ma non meno grave.
Ravezzani: “Chiediamoci cos’è una società di calcio”
Fuori Roma la vicenda ha toni più sfumati, perché di mezzo non c’è il tifo. Tuttavia vale la pena provare a interpretare quanto accaduto con una lente di tipo più comunicativo e sociologico, se si vuole. Fabio Ravezzani, giornalista, direttore editoriale di Telelombardia e Antennatre e direttore generale del gruppo Mediapason, in questo senso amplia lo sguardo oltre Expo: “Posto che, non vivendo a Roma, ho seguito distrattamente la polemica, credo che il punto fondamentale sia interrogarsi su che cosa sia e che cosa rappresenti una società sportiva e, a maggior ragione, una società calcistica. Se, come credo, lo sport è cultura e racconta un modello di società, allora un club non può permettersi di attuare scelte che in qualche modo vadano a cozzare contro i valori e le tradizioni che si porta appresso”.
Essendo il calcio un fatto sociale, qualsiasi decisione va valutata per la sua portata. “Qui non si tratta di un’azienda che fa cartellonistica e che, una volta ricevuta la commissione, viene pagata per l’affissione ed esegue il proprio lavoro. Una società sportiva è diversa, è qualcosa di vivo nel quotidiano delle persone: è cultura, tradizione, storia. Qui si tratta di una sponsorizzazione che, in definitiva, va in direzione contraria agli interessi dello stesso territorio di cui la Roma è espressione”.
Le mani arabe sul calcio
Le cifre dell’accordo sono chiaramente di grande impatto, trattandosi di circa 25 milioni in due anni, ma sono appunto l’identikit del finanziatore, il governo saudita, e il nome di Riad sulle maglie, scelto non certo per caso dal momento che all’interno del circuito di Saudi Season gli eventi sono undici, non solo Riyadh Season. “Se volessimo parlare del legame dell’Arabia Saudita con il calcio italiano apriremmo un discorso molto lungo – prosegue Ravezzani – anche perché le connessioni oggi sono molto strette. Si tratta di una situazione tollerabile trattandosi di professionismo, ma il tema stavolta non è questo”.
L’insostenibile leggerezza delle proprietà straniere
“Il tema è più vasto e riguarda anche le proprietà calcistiche dei club italiani. La Roma ormai da tempo è di proprietà statunitense, e a me viene da pensare che, a maggior ragione se si viene da fuori, dovrebbe essere ancora più impellente l’esigenza di prestare attenzione e curare il legame con la città. In questo caso invece la società si è venduta l’anima, e allora ci si potrebbe chiedere come mai il territorio, a Roma come in altri luoghi, non sia stato in grado di presidiare la società, i suoi legami, la sua storia e la sua cultura”.