I membri del Cnel, a cui è stata affidata una ricerca sull’argomento, sono concordi: il tema del salario minimo è complessivo, diviso e polarizzante. Lo scrivono nel documento che riporta gli esiti della prima fase istruttoria tecnica.
Lo studio: “Non è dato sapere l’impatto di una eventuale legge in materia di salario minimo sul sistema economico e produttivo”
Il Cnel sottolinea che “non è dato sapere, per esempio, l’impatto di una eventuale legge in materia di salario minimo sul sistema economico e produttivo e sulla stessa finanza pubblica con riferimento al problema delle esternalizzazioni e degli appalti di servizi nelle pubbliche amministrazioni. Ancora non chiariti – e comunque ampiamente dibattuti – sono i possibili effetti sui singoli lavoratori e sulle dinamiche complessive del mercato del lavoro (disoccupazione, tassi di occupazione regolare, ecc.)”. “Conseguenza di tutto ciò – si legge ancora nell’introduzione – è l’estrema polarizzazione del dibattito pubblico e del confronto politico tra favorevoli e contrari a un intervento legislativo. Per evitare di replicare nelle dinamiche interne al CNEL schemi di ragionamento duali – che si prestano a strumentalizzazioni politiche ed eccessi di semplificazione di un problema altamente complesso – i componenti della Commissione per l’informazione del CNEL concordano sulla importanza di pervenire alla formulazione di un documento finale ampio e inclusivo. Un documento orientato cioè a condividere dati, scenari, possibili soluzioni e criticità“.
La direttiva europea, i salari e i contratti collettivi
Nello sviluppo dell’analisi, il Cnel pone l’accento sulla direttiva europea in materia di salari. Sottolineando che “la direttiva è al contrario estremamente chiara nel segnalare, rispetto all’obiettivo di promuovere un sostanziale “miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo” (art. 1), una netta preferenza di fondo per la soluzione contrattuale rispetto a quella legislativa”. Ma la direttiva europea pone particolare attenzione al cosiddetto “tasso di copertura” della contrattazione collettiva, e cioè alla percentuale di lavoratori a cui si applicano i contratti collettivi. Percentuale che, come confermato dalla direttiva, viene “calcolata come rapporto tra il numero di lavoratori coperti da contratti collettivi e il numero di lavoratori le cui condizioni di lavoro possono essere disciplinate da contratti collettivi conformemente al diritto e alle prassi nazionali”.
Criticità nel sistema di raccolta delle informazioni
Il documento evidenzia poi criticità nel sistema di ricerca delle informazioni sulla contrattazione collettiva. Il CNEL può servirsi di una Commissione dell’informazione, l’organo consiliare istituzionalmente preposto alla raccolta, alla organizzazione e alla elaborazione della informazione in materia di contrattazione collettiva e retribuzioni. “I componenti della Commissione dell’informazione – prosegue il documento – si trovano concordi nel segnalare come il dibattito sul salario minimo, per come è stato impostato in Parlamento e nel
dibattito pubblico con specifico riferimento alla individuazione di una tariffa retributiva oraria, porti a segnalare non poche criticità della base informativa e conoscitiva attualmente disponibile. Criticità che sono destinate ad assumere maggiore rilevanza nei
prossimi mesi anche con riferimento agli obblighi imposti dalla direttiva europea sui salari minimi adeguati sia in relazione alla presenza di affidabili sistemi di monitoraggio della contrattazione collettiva e degli andamenti dei salari sia con riferimento alla effettiva trasparenza e conoscibilità dei trattamenti retributivi da parte dei lavoratori”.
I ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi
Lo studio del CNEL si sofferma sostanzialmente sulle criticità dei sistemi attuali. In un altro punto della ricerca, infatti, si fa menzione “dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi. Al 1° settembre 2023 risulta che al 54 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato si applicano contratti collettivi nazionali di lavoro che, fatte salve le precisazioni che seguono, sono tecnicamente scaduti”.
I contratti pirata
Si conclude poi con una disamina della “contrattazione pirata”: “Che sta a indicare essenzialmente i contratti sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali poco rappresentative o addirittura sconosciute, che contengono condizioni economiche e clausole normative peggiorative per i lavoratori e per le dinamiche della concorrenza tra le imprese rispetto ai contratti collettivi qualificati dalla rappresentatività dei soggetti firmatari”.