E’ una vittoria, il fatto che il Salone del Mobile si farà a settembre. Ripercorriamo brevemente le tappe. Martedì sera c’è un voto quasi unanime che – nel segreto di una associazione di categoria – di fatto seppellisce il Salone. La ragione l’ha spiegata bene l’imprenditoria brianzola: troppi costi, pochi ricavi. E’ il mercato bellezza. Mercoledì emerge la notizia, giovedì esplode sul Corriere della Sera. Venerdì e sabato le istituzioni lavorano come pazze.
Si rompe il fronte di quelli che pensano che sia solo una questione di conti: tanto pago, tanto mi rende. Perché il Salone del Mobile non è una roba da mobilieri. Non è un contratto che vede espositori che pagano, FederlegnoArredo che organizza e Fiera che affitta gli spazi. Non è solo questo tanto quanto la vita di un uomo non è solo nascere, mangiare e morire. Il Salone è un pezzo dell’economia di una città che è un pezzo importantissimo dell’economia dell’Italia. Questo è il Salone. E colpisce come aziende che grazie al Salone del Mobile hanno fatto la propria fortuna non l’abbiano capito, prese a giustificare un ragionamento aberrante: ho venduto uguale senza spendere quei soldi per il Salone dunque il Salone è inutile. Non funziona così.
E non funziona così se si va oltre l’inutile logica del numero, della villettina in Brianza con la piscina, come magistralmente ha detto Nicola Porro. La logica è quella del coraggio, e i veri imprenditori ce l’hanno. Non rinunciano al Salone del Mobile perché conviene, ma rilanciano il Salone perché converrà due volte di più. E con questo rilanciano un sistema che li rifornisce di materie prime, di competenze, di acquirenti. Altrimenti che cos’è il Made in Italy se non una etichetta buona per far cascare qualche allocco del Qatar?