Perché leggere questo articolo: Sanchez e Meloni, così lontani e così vicini. Vediamo perché la potenziale conferma del premier socialista è un assist alla premier.
Pedro Sanchez dopo Edi Rama: vuoi vedere che a Giorgia Meloni gli assist migliori vengono dai “rivali” socialisti? L’accordo tra il Partito Socialista Operaio di Spagna (Psoe) e Junts, il partito dell’ex presidente catalano Charles Puigdemont, ha nella giornata del 9 novembre chiuso forse definitivamente la questione catalana e aperto a Sanchez le porte per il suo terzo governo. Mantenendo alla Moncloa di Madrid un leader che, nella diversità ideologica, da presidente di turno dell’Unione Europea concorda con Meloni su un tema: bisogna accelerare sulla riforma del Patto di Stabilità. Possibilmente rottamando una volta per tutte, entro il 31 dicembre, l’austerity pre-Covid.
Madrid presto avrà un governo
Lo stesso intento non era così forte nelle intenzioni nel centrodestra del Partito Popolare, vincitore “di tappa” del voto di luglio ma non della Vuelta della corsa alla formazione del governo. E men che meno per l’ultradestra di Vox, alleata di Fratelli d’Italia nei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), tutta tesa nelle battaglie contro il mix di politicamente corretto, ambientalismo e comunismo (sic) che Sanchez e gli alleati di sinistra di Sumar erano accusati di alimentare per pensare a una vera agenda di governo.
Il leader del Psoe ora propone una vera e propria “amnistia” su Puigdemont, indagato dopo il tentativo di indipendenza della Catalogna non andato a buon fine del settembre 2017, in cambio del sostegno di Junts al governo. Destinato a tenere all’opposizione la destra spagnola creando una coalizione imperniata sull’asse Psoe-Sumar che ha puntato in campagna elettorale sulla difesa della riforma del lavoro, della lotta all’inflazione e delle politiche redistributive.
L’asse di Sanchez con gli autonomisti
Attorno all’asse di sinistra, una coalizione di partiti regionalisti che si avvicina a un progetto di riconciliazione nazionale. Sanchez poteva già contare su alleati variegati: la Sinistra radicale catalana (Erc), già alleata di Puigdemont per l’indipendentismo, il Blocco Nazionale della Galizia e il Partito Nazionale Basco rappresentavano l’asse di formazioni regionaliste di sinistra già vicine a Psoe e Sumar.
A sommarsi a queste una formazione pittoresca come Euskal Herria Bildu, il partito nazionalista e indipendentista dei Paesi Baschi che è emanazione dell’esperienza militante dell’Eta. Il sostegno di Junts, kingmaker del post-voto, permetterebbe al blocco pro-Sanchez di superare la quota di 176 seggi su 350 necessari per la terza investitura. E l’ultimo anello della catena potrebbero essere gli autonomisti delle Canarie, Coalicion Canaria, partito di centro-destra sensibile però al progetto nazionale di devoluzione e attenzione alle minoranze del leader socialista.
Prima sfida: la lotta al rigore
Sanchez, il premier 51enne ateo, anti-nazionalista e progressista, sarà l’alleato numero uno di Giorgia Meloni, donna, madre e cristiana fieramente nazional-conservatrice? Nell’Europa della grande incertezza tutto è possibile. Specie se lo scoglio comune da affrontare si chiama rigore germanocentrico, iceberg verso cui l’Europa naviga se non saprà correggere la rotta da qua a fine anno. Meloni e Sanchez possono creare un asse esteso a Emmanuel Macron per aprire definitivamente a una proposta migliorativa della bozza della Commissione Europea per aprire a più investimenti e meno austerità automatica le regole europee.
Cosa avvicina Meloni e Sanchez
Come gli incontri bilaterali dei mesi scorsi hanno confermato, la sintonia esiste. Meloni e Sanchez sono uniti dal filo rosso del realismo sul piano della corsa al superamento dell’austerità e alla creazione di obiettivi convergenti verso un nuovo Patto di Stabilità. La presidenza spagnola del leader Psoe non passerà dunque nella sua fase finale al Partito Popolare, che nella sua ultima esperienza alla Moncloa si dimostrò, sui grandi temi europei, un “protettorato” della Cdu di Angela Merkel. Non a caso, il Pp era ai tempi di Mariano Rajoy una forza convintamente pro-rigore e eccessivamente vincolato alla visione germanocentrica dell’Europa.
Ad accomunare Meloni e Sanchez sono anche le rispettive agende mediterranee fondate su energia e gestione dell’estero vicino. Dal ruolo dell’Africa come partner alla volontà di cercare la de-escalation nel Mediterraneo nelle aree calde, passando per la cooperazione sulle infrastrutture e l’energia (si pensi al ruolo di Enel in Spagna) una più stretta cooperazione tra le parti è ritenuta vitale. E per Meloni e i suoi conviene il proseguimento di un’agenda comune per l’energia nel Mediterraneo con Madrid e una convergenza con la Spagna sul tema dei ricollocamenti dei migranti, cui sicuramente Vox e centrodestra conservatore sarebbero stati contrari. Se non addirittura ostili.
La politica, del resto, è interessante anche per questi motivi: non spesso l’ideologia va di pari passo con l’interesse di corrispettivi alleati o partner stranieri. E il negoziato post-voto in Spagna lo testimonia. Le grandi agende internazionali e le specificità interne dei singoli contesti nazionali si influiscono reciprocamente ma non sono intercambiabili. Un monito per Meloni, che ha trovato più sponde nei socialisti Sanchez (sull’economia) e Rama (sui migranti) che sui “fratelli” sovranisti di Polonia e Ungheria sui grandi temi.