Perché leggere questo articolo? Nella causa tra i giornalisti e Google c’è di mezzo anche Marx. Lo storico ed economista Giulio Sapelli analizza con True-news.it il ruolo e il plusvalore dell’informazione, minacciato dall’intermediazione dei colossi tech. Un questione anche di classe, che la politica ha tradito.
“I big tech rubano il lavoro giornalistico. Ma i giornalisti se lo sono fatti rubare, senza ribellarsi“. Il professor Giulio Sapelli, già docente di Storia economica e Politica all’Università di Milano e presso altri Atenei italiani e del mondo, è un pensatore a 360 gradi, non etichettabile. Storico ed economista, è prima di tutto un umanista perfettamente in grado di cogliere i risvolti antropici di una scienza sociale come l’economia. Per questo, commenta la causa di oltre trenta gruppi editoriali contro Google rileggendo Marx. “Un pensatore sempre più attuale che il mondo contemporaneo ha ucciso, a partire dalla politica“.
Sapelli: “I big tech hanno trasformato i consumatori in lavoratori”
“I colossi online, come Google ma anche Amazon, fanno eccesso di lavoro di agenzia. Rubano il lavoro giornalistico, distruggendo l’etica di una professione che un tempo si basava sulla ricerca”. Il professor Sapelli ha bene in mente cosa significhi fare il giornalista. “Ricordo con piacere un caro amico di famiglia, Giorgio Bocca. Quanti chilometri che faceva per andare a suonare campanelli, a parlare con la gente!”. Quello giornalistico è secondo Sapelli “prima di tutto un lavoro di ricerca” che i nuovi media online stanno distruggendo. “Ci sono sempre meno cronisti, le inchieste stanno sparendo. Ormai ci informiamo solo attraverso agenzie: quello che riporta Google“.
Per il docente di Storia economica e di Economia Politica, l’iniziativa dei colossi tecnologici – come Google – nei confronti dell’informazione ha una dicitura precisa. “Fanno prosumption” dichiara Sapelli. Un termine frutto della sintesi tra producer (produttore) e consumer (consumatore). “Lo hanno coniato i sociologi Marshall McLuhan e Barrington Levitt. I primi negli anni Settanta a ipotizzare che i consumatori si potessero trasformare in produttori. E così è stato nel mondo dell’informazione, dove noi fruitori facciamo il lavoro per Google”.
Il mondo dell’informazione e la sua crisi
Oggi il gigante Google inizia a essere messo attacco. E’ passato solo un anno dallo storico processo intentato dal governo americano per abuso di posizione dominante nel settore della ricerca online. Adesso l’azienda tecnologica deve far fronte a nuovi oppositori. Sono i 32 editori europei che mercoledì 28 febbraio hanno intentato una causa contro Google, chiedendo 2,1 miliardi di euro di risarcimento per pratiche scorrette in pubblicità digitale. La mossa è il culmine di un’insofferenza da parte degli editori iniziata da tempo. Da anni, ormai, vedono diminuire i loro ricavi a causa del crescente monopolio delle Big Tech nel mercato pubblicitario. “E Google, in questo campo, domina su tutti. Senza incontrare alcuna forma di ribellione” constata Sapelli.
“I giornalisti si sono fatti rubare il lavoro“. Per Sapelli la responsabilità dello stato attuale del mondo dell’informazione non è solamente colpa dei colossi digitali. “I giornalisti non hanno voglia di lavorare appieno, di ricercare, di parlare per conoscere. Ho visto coi miei occhi corrispondenti di guerra in Vietnam che non sono mai andati sulla linea del fronte. Oggi è più semplice fare un clic, anziché andare a intervistare“.
Non tutte le colpe sono però dei giornalisti. Il professor Sapelli riconosce anche questioni strutturali nella crisi del sistema dell’informazione. “Ci troviamo di fronte a colossi digitali che sono vere e proprie piattaforme di capitalismo estrattivo, che ha realizzato un controllo bio-politico perfetto. Google, Amazon, Microsoft e i social network ci hanno convinto che le loro agenzie stampa siano meglio della verità“.
Sapelli: “Prima la politica, ora Google ha nuovamente ucciso Marx”
Dietro la causa degli editori contro Google, il professor Sapelli vede anche una questione sollevata da Marx. “Sin dai Manoscritti economici filosofici del 1844 e poi nei Grundrisse (i Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica del 1857–1859), Marx definisce il concetto di plusvalore”. Per Sapelli “i colossi online dell’informazione producono solo plusvalore assoluto e non relativo. Il loro guadagno si basa sul prolungamento all’estremo della ‘merce’ che giornalisti e lettori possono offrire loro: il tempo”. Per Sapelli: “Viviamo in un mondo neo-barbarico in cui si riattualizza lo schiavismo. Vale per i driver o gli stagisti nei giornali. Che però non reagiscono, quindi è normale che il padrone cerchi di sfruttarli. Il lavoro è sempre più degradato e la responsabilità è anche della politica”. Per Sapelli, “la politica ha contribuito a tutto questo, dimenticando la lezione di Marx. In America la gente già vive in mezzo alle strade, a Roma ci sono già le tendopoli. Avete voluto Monti! Ecco. Un ex comunista al Quirinale l’ha nominato senatore a vita“. L’attualità di Marx per il docente di Storia economica, “in questa fase di capitalismo sfrenato è stringente. Come diceva Cornelius Castoriadis, riprendendo Rosa Luxembourg: Socialismo o barbarie!”.