Perché questo articolo potrebbe interessarti? Nonostante Roma abbia sposato una ferrea linea Atlantista nei principali dossier di politica estera, gli Stati Uniti continuano a nutrire qualche riserva nei confronti del governo italiano. Meloni attende ancora una chiamata alla Casa Bianca.
Dalla guerra in Ucraina al contenimento della Cina, passando per il sostegno a Taiwan. Almeno sulla carta la posizione geopolitica dell’Italia è in linea con l’Atlantismo, e di riflesso con la strada indicata dagli Stati Uniti.
Da quando è entrata a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni ha applicato alla lettera l’abc della politica estera incarnata dalla Nato.
Eppure, a Washington ci sarebbe chi continua a nutrire qualche dubbio nei confronti di Roma. Non si spiegherebbe, altrimenti, la scelta di Joe Biden di non aver ancora invitato Meloni alla Casa Bianca.
La premier italiana, dal canto suo, ha giurato fedeltà alla causa di Kiev, ha condannato la Russia, stretto i legami con India ed Emirati Arabi Uniti e mantenuto una certa distanza da Pechino.
Non si è però ancora capito, però, cosa ne sarà della Via della Seta: l’esecutivo vorrebbe sfilarsi dal Memorandum of Understanding firmato nel 2019 con la Cina ma, al tempo stesso, teme possibili reazioni economiche avverse da chi può vantare il mercato più grande del mondo.
In attesa che faccia chiarezza sul Dragone, gli Usa non possono che aver annotato un paio di criticità nell’operato di Meloni. Alcuni scivoloni che rischiano di alimentare dubbi e incertezze.
Il nodo cinese
Sono tre, in sostanza, i dossier che non hanno fin qui deluso o non convincono appieno gli Stati Uniti. Uno lo abbiamo citato e riguarda la Cina.
Washington vorrebbe una presa di posizione netta da parte di Roma, un allontanamento radicale dall’abbraccio effettuato dal governo giallorosso di Giuseppe Conte. E invece, per timore che Pechino possa reagire in malo modo, il governo si sta muovendo con estrema cautela.
Detto altrimenti, l’Italia sarebbe pure disposta ad abbandonare la Belt and Road, ma a patto di non vedersi chiudere in faccia le porte d’accesso al mercato cinese.
Sarebbe un danno per le imprese italiane, considerando che il volume degli scambi commerciali tra Cina e Italia, nel 2022, ha superato quota 77,88 miliardi di dollari, con una crescita del 5,4% su base annua.
Inoltre, con la riapertura dei confini dopo la pandemia di Covid, i turisti cinesi sono pronti a tornare in Europa. E anche il turismo potrebbe diventare una leva attivabile per “punire” Roma.
Per questo si vocifera che l’Italia potrebbe proporre alla Cina un accordo commerciale alternativo, pur salutando la Via della Seta. Gli Stati Uniti osservano.
La fuga di Artem Uss e le liti con i partner europei
Troviamo, poi, la vicenda di Artem Uss, l’imprenditore russo fuggito dall’Italia, lo scorso 22 marzo, dove si trovava agli arresti domiciliari.
Uss è stato bloccato il 17 ottobre a Malpensa per accuse americane di associazione per delinquere, truffa e riciclaggio.
Gli Usa avevano chiesto l’estradizione, così come, in un secondo momento, aveva fatto Mosca, ma il sospettato si è volatilizzato all’indomani del primo via libera della Corte d’appello di Milano. Possibile che l’operazione sia stata avallata dai servizi segreti russi, anche se ovviamente non ci sono certezze.
Certo è che il Dipartimento di Stato Usa, poco dopo la fuga di Uss, ha parlato di un “incidente molto spiacevole“. “Siamo rincuorati dal fatto che l’Italia è andata avanti e c’è un’indagine in corso”, avevano spiegato fonti statunitensi al Corsera.
Il terzo e ultimo punto di rottura riguarda, infine, le liti tra il governo Meloni e i partner europei. Dopo il botta e risposta con la Francia, sul tema migranti, Roma è stata attaccata anche dalla Spagna.
È in corso anche un braccio di ferro tra l’esecutivo italiano e Bruxelles, tra gli altri temi, sul Mes e sulle case green. Gli Stati Uniti vorrebbero, al contrario, un’Europa compatta.
Le prove di Meloni
In altri dossier, invece, Meloni ha dimostrato di seguire il solco Atlantista sposato dagli Stati Uniti. Dell’Ucraina abbiamo già parlato: Roma si è schierata in prima linea nel sostenere la causa di Volodymyr Zelensky e ha inviato aiuti a Kiev.
In chiave di contenimento cinese, Washington non può che aver apprezzato il viaggio del premier italiano in India, storico rivale cinese, dove ha intavolato un interessante dialogo con Nuova Delhi in vista di possibili, futuri memorandum.
Bene anche la vicinanza espressa nei confronti di Taiwan, altro tema apprezzato dagli Usa. Il punto, tuttavia, è che l’Atlantismo di Meloni non ha ancora convinto appieno gli Stati Uniti. Serve l’ultimo passo: rompere con la Cina. Con tutti i rischi derivanti da una rottura troppo dura.