Perché leggere questo articolo? L’ex ambasciatore Sergio Romano a True parla della sfida Usa-Cina dopo l’incontro Biden-Xi. E richiama alla lezione della Guerra Fredda.
“La lezione che Cina e Usa devono apprendere riguarda la necessità di capire il senso del limite in politica internazionale”: Sergio Romano ragiona con chiarezza, dialogando con True-News, sulle conseguenze dell’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping tenutosi a San Francisco nella giornata di mercoledì 16 novembre. “E il senso del limite passa inevitabilmente per il rafforzamento delle occasioni di confronto e dialogo” aggiunge.
Romano: “Importante l’equilibrio tra le potenze”
L’ex ambasciatore italiano 94enne, studioso delle relazioni internazionali e memoria vivente della diplomazia italiana, viaggia nel passato con la memoria alla sua esperienza personale. “Ricordo quando negli Anni Sessanta mi fu affidato alla Farnesina l’incarico di diventare membro del gabinetto del ministero con l’incarico di contribuire a affinare e rafforzare i rapporti diplomatici con la Cina” in un contesto di marcia verso il “riconoscimento della Repubblica Popolare“.
Romano ricorda che “i cinesi furono cordiali, e da membro del gabinetto del Ministro degli Esteri e poi presidente della Repubblica Giuseppe Saragat assistetti al percorso che portò nel 1964 a un accordo per l’apertura di uffici commerciali nelle rispettive capitali” e “nel 1970 al pieno riconoscimento diplomatico”. Una mossa che contribuì “al clima di distensione tra Occidente e Cina poi concretizzato da Richard Nixon e Henry Kissinger. Fu un’esperienza istruttiva per noi e per i cinesi”, sottolinea Romano. “E ci ricorda anche l’importanza del principio della ricerca dell’equilibrio tra potenze”. L’Italia, lo ricordiamo, concluse con lo sprint decisivo di Pietro Nenni, Ministro degli Esteri nel 1970, un lavoro partito anni prima per il riconoscimento della Cina comunista.
Da Nixon a Biden-Xi
Quello era un mondo in cui l’avvicinamento tra l’Occidente e la Cina si inserì nelle “dinamiche bipolari riguardanti Stati Uniti e Unione Sovietica”, ricorda Romano, nelle quali il principio generale era che “i due campi del sistema-mondo si trovavano di fronte a una competizione attiva ma non priva di regole“. Usa e Unione Sovietiche, in sostanza, dicevano chiaramente “di essere diversi, di non collaborare strategicamente nei settori critici per la sicurezza nazionale, di duellare per la primazia globale ma anche di voler legittimare la controparte” e fissare precise linee rosse. La chiarezza della comunicazione di ieri vale ancora di più oggi, in un periodo storico con due potenze di punta.
Biden ha aperto a Xi l’idea di una collaborazione su temi come la lotta al cambiamento climatico e il leader cinese ha offerto agli Usa di collaborare sulla stretta al traffico di fentanyl. Inoltre, i comandi militari riprenderanno le comunicazioni congiunte. Si tratta di un messaggio costruttivo, anche se non sono mancate tensioni anche dopo San Francisco quando Biden ha detto di continuare, di fatto, a considerare Xi un dittatore. “Ma questa è la linea Usa”, sottolinea Romano, “è chiaro che mai gli Stati Uniti potranno concedere alla Cina un rapporto diplomatico pari a quello costruito con gli alleati, ma chiaramente al netto della retorica è ovvio che sia per loro che per Pechino sarebbe suicida assumere un atteggiamento distruttivo“.
La lezione della Guerra Fredda secondo Romano
Tra i leader ci sono “chiare differenze caratteriali” e “certamente Biden non riconosce a Xi e alla Cina un ruolo guida per parte della società internazionale”, mentre il capo del Partito Comunista Cinese “sa che il suo Paese non può sfidare apertamente la leadership Usa”. Ma “che la competizione abbia le sue regole e i suoi momenti di confronto”, nota Romano, è un buon segno perché si può fermare un trend “rischioso” che presenta la rivalità come inevitabile.
Morale? “Sarà bene che Usa e Cina ricordino la lezione della Guerra Fredda”, chiosa Romano, per poter sì rivaleggiare ma senza disconoscere totalmente le aspirazioni della controparte. Quel bilanciamento che per decenni resse l’ordine globale nella competizione politica, militare ed economica tra i due blocchi è oggi più che mai necessario in una fase in cui “una vera dinamica da Guerra Fredda ancora non c’è”. Ma portare il sano, realistico lessico della stagione passata del bipolarismo potrebbe aiutare a rendere più prevedibili, e dunque meno distruttivi, i trend della competitività su questo fronte.