Perché questo articolo potrebbe interessarti? Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere un’intervista del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. L’ex direttore del Tg2 ha proposto l’inserimento dell’italiano come lingua ufficiale nella Costituzione, ma si è attirato qualche sfottò per avere definito con l’espressione straniera “Radical chic” tutti quelli che fanno uso eccessivo di parole non italiane. True-News.it ne ha parlato con Vittorio Sgarbi, sottosegretario al ministero guidato da Sangiuliano.
Un po’ gioca e un po’ fa sul serio. Vittorio Sgarbi commenta la proposta del “suo” ministro Gennaro Sangiuliano, che in un’intervista a Il Messaggero ha lanciato l’idea di inserire la lingua italiana in Costituzione, quindi gigioneggia. E allora – dice a True-News.it il sottosegretario alla Cultura – “sì il ministro ha fatto una proposta logica, di buon senso”. Perché “l’italiano è la lingua della nostra Patria”. Spiega Sgarbi parlando come un militante di Fratelli d’Italia.
La lingua secondo Sgarbi
Poi fa un’inversione a U e sottolinea: “L’idea di Sangiuliano è giusta ma non è completamente necessaria”. Come mai? “La lingua si governa da sola”. Ed ecco il liberale, che sostiene che il linguaggio, in fondo, si autoregolamenta. Come il mercato. Sgarbi presumibilmente ci risponde al telefono da qualche località storica di interesse artistico.
“Sicuramente posso dirle che andrebbe abolita la parola ‘location‘, io in questo momento mi trovo in un Palazzo, non in una location”, spara il sottosegretario. Che lancia la sua personalissima crociata anche contro un termine italiano: “Sarebbe preferibile non usare così tanto l’inglese, ma la lingua italiana va restaurata”. Come se fosse un’opera d’arte o un monumento. “Ad esempio la parola ‘sinergia‘ va assolutamente evitata. Propongo 200 euro di multa per chiunque scriva ‘sinergia‘, compresi voi giornalisti”, continua il vulcanico esponente di governo.
L’uscita di Sangiuliano “non necessaria”
Sgarbi non si esime dal sottolineare la piccola gaffe di Sangiuliano, che nel colloquio con Ernesto Menicucci del Messaggero ha usato l’espressione anglo-francese ‘radical chic‘ per bacchettare chi eccede nell’uso di parole straniere. “Anche il ministro è incappato nell’uso dell’inglese, perché poi nell’intervista ha usato Radical Chic, che è inglese”, ricorda il celebre critico.
“Il francese invece adesso si parla di meno, anzi non si utilizza più”, prosegue il sottosegretario alla Cultura parlando con True-News.it. Sgarbi allora accelera di nuovo e stigmatizza comunque l’ossessione anglofona: “La lingua si autogoverna, ma per evitare l’uso eccessivo di parole straniere potremmo stabilire noi una regolamentazione, con delle multe”. E come ci regoliamo? “Si potrebbe fare che ogni cinquantacinque parole italiane ne possiamo usare una in inglese, per chi ne usa di più di una ogni cinquantacinque facciamo delle multe”. Sgarbi sottolinea come certi termini e alcune espressioni siano alla stregua di mode, più o meno passeggere, “spinte” dal giornalismo e dai discorsi dei politici. Dai leader e dagli esponenti di quasi tutti gli schieramenti.
Il paragone di Sgarbi coi brufoli
Dunque fa capolino nel ragionamento sgarbiano il paragone con i brufoli. “Alcune parole inglesi escono fuori ogni tanto all’improvviso, come i foruncoli”. E allora snocciola un bell’elenco di inglesismi entrati nella cronaca politica quotidiana. “È una moda: c’è stato lo ‘spread‘, si ricorda? Poi è venuto il momento della spending review e non si parlava altro che di ‘spending review’, proprio come i foruncoli”, ricorda il sottosegretario. Di recente si è parlato anche degli ‘underdog’ – di chi parte in condizioni svantaggiate – una parola anglosassone utilizzata dal premier Giorgia Meloni durante il suo discorso in occasione della fiducia alla Camera. Ma allora l’uso delle parole straniere va regolamentato o no? “Ma sì regolamentiamo…”. Si congeda Sgarbi.