Sindacati in piazza, ma non tutti. Per la giornata del 16 dicembre Cgil e Uil hanno indetto uno sciopero generale, a cui però la Cisl ha deciso di non aderire. La presa di posizione da parte di due su tre sigle confederali di scendere in piazza contro una legge di Bilancio che considerano inadeguata e non in linea con le esigenze dei lavoratori – nonostante la pandemia e l’eccezionale riduzione del carico fiscale previsto in manovra – ha creato divisioni nell’opinione pubblica e nel mondo politico, che nel complesso hanno manifestato perplessità nei confronti della decisione.
Cgil, Cisl e Uil, una storia di rotture e riavvicinamenti
Le spaccature rappresentano una costante del mondo sindacale, che dal dopoguerra è costellato da una storia di rotture e riavvicinamenti tra sigle. Proprio da un rifiuto di manifestare nel 1948 nacque quella che poi sarebbe diventata la Cisl. Nella storia la divisione si è mostrata spesso foriera di esiti cattivi per i rappresentanti dei lavoratori.
Il primo sciopero generale in Italia nel 1900
Lo sciopero generale nella storia del nostro paese è venuto prima dei sindacati unitari. Considerato un reato fino al 1889 e penalizzato a livello lavorativo ancora per molti anni a venire, il primo caso di massima forma di astensione collettiva in Italia è datato 1900, quando a Genova, in seguito alla chiusura della Camera del Lavoro da parte del prefetto. Sono anni di incredibili tensioni – pochi mesi prima era stato assassinato il re Umberto I – e repressioni violente – a sparare al re era stato Gaetano Bresci, anarchico che voleva vendicare le cannonate che nel 1898 il generale Bava Beccaris aveva esploso sulla folla di Milano che protestava contro la fame. Le proteste portano alla caduta del governo Saracco. La storia del Regno d’Italia prosegue nel segno di altri pesanti scioperi generali. Per cinque giorni nel settembre del 1904 il paese rimane con le braccia incrociate dopo l’eccidio dei minatori sardi di Burregu, allora provincia di Carbonia. Sei anni più tardi sono gli operai di Piombino a scioperare contro il neonato consorzio Ilva.
La Settimana rossa ed il Biennio rosso tra le due guerre
Gli anni a cavallo tra le due guerre sono stati segnati da importanti scioperi generali. Alla Settimana rossa del 1914 fa seguito il Biennio rosso del 1919-20. Il 1º ottobre del 1906 a Milano le Camera del Lavoro e le varie federazioni sindacali distribuite sul territorio nazionale danno vita alla Confederazione Generale del Lavoro, Cgl: il primo sindacato nazionale in Italia, che verrà sciolta dalle Leggi Fascistissime del 1925, entrando in clandestinità. Nel marzo 1944 in piena II guerra mondiale e guerra civile nel paese dopo vent’anni di fascismo, a Milano viene proclamato uno “sciopero generale contro la fame e contro il terrore”, a Torino si incita la folla alla lotta contro “i nemici di ogni civiltà, contro i barbari nazifascisti”. La produzione nazionale viene bloccata per giorni, è la prova generale del 25 aprile del 1945, quando Sandro Pertini, comandante del Comitato di Liberazione Nazionale e futuro Presidente della Repubblica, annuncia uno sciopero generale a cui accompagna l’insurrezione che porta a compimento la Liberazione del paese.
Sindacati uniti dal 1944 al 1948 e la nascita della Cisl
Con il Patto di Roma del 9 giugno 1944 i partiti impegnati nella Resistenza rifondano un sindacato nazionale, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Cgil. La rottura del rinato fronte sindacale unitario avviene nel 1948: dopo l’attentato al segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti, viene proclamato lo sciopero generale a cui non aderisce la corrente democristiana che fonderà poi la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori, Cisl.
Alla Cisl aderiscono i sindacalisti d’ispirazione cattolica, repubblicana e socialdemocratica; in Cgil rimasero la corrente comunista, la maggior parte di quella socialista e l’area laica-riformista.
Nel 1950 la nascita della Uil
Gli scioperi del 1949 contro l’adesione al blocco occidentale portarono a una nuova divisione: socialisti, repubblicani e socialdemocratici danno vita alla Fil, che nel 1950 diventa Uil, Unione Italiana del Lavoro.
Dopo il Sessantotto e una stagione di rivendicazioni sociali – culminata con la storica conquista dello Statuto dei Lavoratori nel 1970 – le tre sigle sindacali riescono a ritrovare compattezza, dando vita a un decennio di Federazione unitaria formalizzata tra il 1972 e il 1984, quando Cisl e Uil si discostano dalla Cigl per interrompere lo sciopero contro la Scala Mobile. L’accordo di San Valentino col governo Craxi viene firmato da Cisl e Uil e non dalla Cgil, che scelse la strada del referendum poi perso.
Sigle di nuovo compatte (o quasi) contro Berlusconi
Gli anni della Contrattazione, la fine della Guerra Fredda e il crollo della Prima Repubblica, lasciano divisioni dentro il fronte sindacale, che ritrova compattezza nel nuovo millennio contro i governi Berlusconi, non senza che si consumino spaccature. Nel 2002 la Cgil sceglie di non firmare il Patto per l’Italia, ratificato da Angeletti e Pezzotta con il Cavaliere, Sergio Cofferati risponde con la battaglia in difesa dell’articolo 18, poi perduta. Nel 2008 il suo successore Guglielmo Epifani replica proclamando uno sciopero generale per la sola Cgil.
L’ultimo sciopero generale unitario nel 2013 contro il governo Letta
L’ultimo sciopero generale unitario di tutte e tre le sigle unite nel nostro paese risale a novembre 2013 contro la legge di stabilità del governo Letta. Nel 2014 la Cigl di Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo indice uno sciopero generale contro il Jobs act e la legge di stabilità del governo Renzi: la Cisl di Annamaria Furlan aveva preferito organizzare delle manifestazioni.
La scelta di Cigl e Cisl di manifestare con uno sciopero generale ha destato perplessità, soprattutto dopo che il sindacato di Landini dall’insediamento del governo Draghi si è speso in due importanti prese di posizione, rivelatesi poco producenti: contro il blocco dei licenziamenti e contro il green pass.
La storia mostra come scendere in piazza divisi, rompendo l’unità del fronte sindacale, si rivela spesso perdente per le rappresentanza dei lavoratori.