Alla sua comparsa è stata prontamente ribattezzata “Sindrome dell’Avana”, un nome senza dubbio efficace e in grado di rievocare il fascino della Guerra Fredda ma, soprattutto, della guerra di spie tipica del mondo bipolare. Si tratta di un malessere che negli ultimi anni ha colpito centinaia di diplomatici e membri dell’intelligence americana sparsi in diversi paesi del globo. Il nome, tuttavia, si deve al fatto che i primi casi del morbo furono riscontrati per la prima volta nel 2016 tra funzionari e diplomatici statunitensi all’Avana. Alcuni di loro iniziarono ad accusare sintomi sospetti come spossatezza, nausea, emicrania e addirittura vista annebbiata e problemi all’udito e all’olfatto. In alcuni casi, a dire il vero piuttosto rari, si sono anche verificati episodi di perdita della memoria. Stessa sorte, dopo qualche mese, toccò ad alcuni diplomatici canadesi operanti sull’isola caraibica, tanto che fu allora che i media iniziarono a parlare sistematicamente di “Sindrome dell’Avana”. Senonché, col passare del tempo, hanno iniziato a manifestare gli stessi sintomi anche funzionari americani in altre parti del globo: dall’Austria alla Colombia passando per Russia, Cina e Germania.
Il rapporto Cia: la sindrome esiste ma non è causata dai servizi stranieri
Nel mese di gennaio, tuttavia, un rapporto preliminare della CIA ha divulgato una precisazione non da poco: la “Sindrome” è sicuramente un fatto medico e di sicurezza importante, ma non è da considerarsi opera di potenze straniere a danno dei diplomatici e dei servizi d’intelligence USA. Negli anni passati, va sottolineato, Pentagono e dipartimento di Stato – dicastero responsabile per quanto accade nelle sedi diplomatiche – avevano lasciato intendere il contrario, con riferimenti velati (a volte neanche troppo) nei confronti di Russia e Cina.
Sindrome dell’Avana: stress e motivi ambientali
Per alcuni casi in particolare, si legge nel rapporto, l’agenzia non può in effetti escludere un coinvolgimento straniero, inclusi molti dei contagi maturati presso l’ambasciata degli Stati Uniti all’Avana a partire dal 2016. Tuttavia, in centinaia di altri casi, la CIA ha trovato spiegazioni alternative plausibili. Il direttore Bill Burns ha spiegato che nella stragrande maggioranza dei mille casi totali, la “Sindrome dell’Avana” è risultata legata a motivi ambientali, allo stress elevato dei soggetti o a problemi medici non legati al lavoro sul campo. Il responsabile dell’agenzia d’intelligence non ha fornito ulteriori dettagli su quelli che potremmo definire fattori contingenti e ha più volte precisato che il rapporto preliminare riporta un risultato provvisorio. Burns, tra l’altro, è stato toccato molto da vicino dalla sindrome, dal momento che uno dei suoi più stretti collaboratori ha sviluppato sintomi coerenti con la patologia durante una missione a Nuova Delhi, in India. In privato – sottolinea la stampa americana – il direttore della CIA aveva spesso definito apertamente gli incidenti come “attacchi”, ma nonostante questo sia Burns e che la direttrice dell’intelligence nazionale, Avril Haines, hanno approvato i risultati del rapporto preliminare.
L’ipotesi della sindrome causata da onde elettromagnetiche
L’idea che i contagi fossero causati da Mosca – che puntualmente ha respinto ogni accusa – o da un’altra potenza straniera intenzionata a prendere di mira gli americani in tutto il mondo, sia per danneggiarli che raccogliere informazioni, è stata quindi ritenuta infondata. A far prendere quota a questa idea era stata l’ipotesi che la “Sindrome” fosse in qualche modo “impiantata” nei soggetti tramite onde elettromagnetiche ad alta frequenza. Una teoria, questa, che non è mai stata suffragata da prove certe. Fonti citate dall’emittente Nbc affermano che alcune delle persone colpite dal morbo hanno espresso profonda delusione di fronte alle conclusioni. Alcuni hanno rimarcato il fatto che i risultati della CIA sono frutto di una valutazione intermedia e che non sono stati coordinati con altre agenzie, incluso il dipartimento della Difesa.
L’analisi del Washington Post: presto per escludere l’esistenza di responsabili
Ciononostante, come sottolinea un’analisi del Washington Post, forse è ancora troppo presto per mettere la parola fine alla vicenda che ha avuto per protagonista la “Sindrome dell’Avana”. Secondo il quotidiano americano, il rapporto non esclude la possibilità che attori minori – magari subappaltati – siano responsabili degli attacchi, né esclude che la colpa sia di più fonti. In altri termini: non Russia e Cina, ma magari qualche soggetto più piccolo nella loro sfera d’influenza. Questo, spiega l’articolo firmato dall’editorial bord del Post – potrebbe spiegare il fatto che le vittime siano state colpite in diverse zone del pianeta. “La comunità dell’intelligence deve continuare a scavare nella questione e speriamo che un rapporto del gruppo di esperti che ha esaminato il materiale classificato diventi presto disponibile”, si legge nel pezzo.
Sul fronte politico, il presidente Joe Biden ha firmato nel suo primo anno di mandato un disegno di legge per sopperire ai bisogni delle persone colpite. Sempre secondo il Washington Post, la risoluzione del caso “pone una sfida difficile ma non insormontabile per la CIA e l’amministrazione”, le quali “devono rivolgersi a tutti i dipendenti (delle ambasciate USA, ndr) con la cura e l’attenzione che si addicono agli americani che si trovano all’estero per servire il loro Paese”.
Sindrome dell’Avana e Covid: la genesi resta incerta
A questo punto non resta che aspettare che la commissione di esperti – cui fa cenno anche il quotidiano di Washington – completi il suo lavoro e pubblichi il rapporto definitivo sulla vicenda. D’altronde la comunità d’intelligence degli Stati Uniti ha pubblicato di recente anche un’altra ricerca simile, ma sulle origini di una patologia ben più nota del morbo “nato” a Cuba, ossia la pandemia di Covid-19. A ottobre, infatti, è stata divulgata la versione dettagliata del rapporto commissionato da Biden a maggio 2021 ai servizi, ai quali veniva chiesto di far luce su quanto accaduto a Wuhan e sull’origine del Sars-Cov-2. Risultato: l’intelligence resta divisa circa la genesi del Coronavirus. Che si tratti di un processo zoonotico o del frutto della mano dell’uomo, al momento non è possibile dirlo con certezza. Lo stesso destino, almeno per i prossimi mesi, toccherà probabilmente anche alla “Sindrome dell’Avana”.