Keir Starmer ha conquistato la poltrona di primo ministro britannico dopo l’ampio successo del Partito Laburista alle elezioni, con la sinistra britannica che ha conquistato oltre 410 seggi su 650 complice lo schianto del Partito Conservatore dopo quattordici anni di governo. Che prospettive ha l’esecutivo che riporta al governo i laburisti con la prima vittoria elettorale dal 2005 a oggi e la più ampia dopo quella di Tony Blair del 1997? Parlando con True-News il professor Mario Ricciardi, docente di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Milano e già direttore de Il Mulino, analizza lo scenario ricordando che “bisogna partire ovviamente dal commento dei risultati”.
Starmer, meno voti ma boom di seggi
Ricciardi nota che è indubbio il fatto che “il Labour abbia una maggioranza ampia a Westminster. Ma non dobbiamo dimenticare che questa maggioranza è in larga parte garantita dal sistema con collegi uninominali first-past-the-post”, in cui il candidato che primeggia anche di un solo voto in un collegio ottiene il seggio, “che rende possibile maggioranze ampie anche con percentuali elettorali non enormi. E guardando bene i flussi elettorali”, nota Ricciardi, “è questo il caso. Il Partito Laburista targato Starmer, infatti, prende una percentuale poco più alta rispetto al 2019”, per la precisione salendo dal 32,1 al 33,7%, “ma meno voti delle elezioni del 2017 e del 2019 in cui a guidarlo era Jeremy Corbyn”. Corbyn ottenne 12,8 milioni di voti nel 2017 e 10,2 nel 2019, Starmer in un voto ad affluenza più bassa ne conquista 9,6 che bastano, però, per una grande maggioranza.
Ricciardi: “Si vota Labour per liberarsi dei Tory”
“Si conferma”, è l’analisi di Ricciardi, “il fatto che non è stato un boom di consensi per i laburisti a spingere Starmer verso Downing Street, quanto piuttosto un sentimento generale di disaffezione profonda verso i Conservatori. Dopo quattordici anni gli elettori hanno, nei collegi, punito il partito che è accusato di aver portato il Paese al disastro”. I dati confermano la sensazione che emergeva dai sondaggi YouGov, secondo cui un laburista su due votava in maniera oppositiva: “si vota Labour innanzitutto per liberarsi dei Tory”, ragiona Ricciardi.
Il docente della Statale nota poi che “la vittoria di Starmer è ampia in Parlamento ma parte con basi fragili in termini di consenso”. Nel 2015 Starmer era entrato a Westminster nel collegio Holborn-St.Pancras conquistando 29mila voti e il 52,9%. Aveva poi preso 41mila voti e il 70% nel collegio nel 2017 e oltre 36.500 voti e il 64,5% nel 2019. Oggi, nel giorno del trionfo, Starmer rivince il collegio col peggior risultato in termini di voti assoluti (18.884) e percentuale (48,9%).
Chi è Kevin Starmer?
Questo dato pone, per Ricciardi, la necessità di “valutare il nuovo primo ministro e la sua agenda su più punti di vista su cui è bene sottolineare scenari e sviluppi politici interessanti. In primo luogo”, ragiona l’ex direttore de Il Mulino, “è bene interrogarsi su chi sia Keir Starmer, la cui figura politica è sempre stata molto capace di trasformarsi nel tempo. E su cui pende l’evasività con cui ha cercato di disconoscere i rapporti con Corbyn, della cui segreteria è stato un membro di prima fascia salvo poi disconoscerlo una volta conquistata la leadership”.
C’è poi il secondo punto, nota Ricciardi. “sull’agenda economica Starmer è stato eletto con un’agenda ampiamente progressista alla guida del Partito Laburista”, ma negli anni “ha assunto toni meno radicali e si è concentrato su disciplina fiscale, spinta al sostegno alle imprese e così via. Si può pensare che assieme alla sua squadra economica, coordinata finora dalla Cancelliera-ombra dello Scacchiere Rachel Reeves possa con disinvoltura cambiare nuovamente idea”, ma certamente che la risposta della sinistra agli anni dell’austerità Tory sia tutta da pesare è palese.
Il nodo esteri nell’era Starmer
Il rischio, per Ricciardi, è che “Starmer dimostri di essere ottimo nella tattica, specie quella elettorale, tanto che ha scelto bene i collegi dove dare battaglia, ma meno lungimirante sui principi, che possono e devono guidare l’azione di un leader” in una fase concitata sul piano nazionale e internazionale.
Il terzo punto che Ricciardi sottolinea come aperto è sulla visione del mondo del nuovo premier: “Un dato indicativo è che Corbyn è stato rieletto da indipendente assieme a ben tre candidati concorrenti dei Laburisti che partivano da posizioni radicali focalizzate sul tema del conflitto a Gaza. Su cui Starmer ha posizionato il Partito Laburista in una posizione nettamente filo-israeliana”. Il Partito Laburista ha perso voti tra i musulmani e Ricciardi ricorda che “tra candidature di figure come Luke Akehurst, radicalmente pro-Netanyahu, e la difficoltà a gestire la sfida degli indipendenti pro-Gaza il partito mostra un’evidente difficoltà su questi temi e sui rapporti con le minoranze”.
La sfida dell’unità
Infine, nota il politologo, “elementi di ambiguità e fragilità sussistono nella guida di una maggioranza coerente. Starmer avrà a che fare con una forte rappresentanza di deputati non allineati alle sue posizioni. Ad esempio sottolineo come importante il ritorno ai Comuni di figure come John McDonald, a lungo vicino a Corbyn”. La sensazione è che la salda posizione ideologica, la presenza di elementi di novità e di una vocazione chiara che caratterizzò il successo laburista nel 1997, anno del debutto di Tony Blair, ancora non si veda. E che Starmer dovrà lavorare, inizialmente, a consolidare la base politica di consenso del partito e a trovare una coerenza interna alla sua maggioranza per capire cosa vuole essere il Partito Laburista di governo dopo quattordici anni di traversata del deserto.