di Sara Greta Passarin
L’aspirazione di scalare il “nuovo Pd”, i timori per le amministrative di Bologna. Sono queste le preoccupazioni politiche che, nel bel mezzo della terza ondata, attanagliano il governatore emiliano Stefano Bonaccini. Il quale ha sempre contrastato su tanti temi, specie dopo la rielezione in Emilia Romagna, il segretario del Pd uscente Nicola Zingaretti. Questo perché il progetto di un’alleanza solida (e a lungo termine) con i grillini, promossa da Zingaretti e dai suoi uomini, non lo ha mai convinto fino in fondo. E non è un segreto che il governatore emiliano – si pensi a temi come giustizia, sicurezza e pandemia – guardi con simpatia ad alcune posizioni del centrodestra. Tanto da invocare, in diverse situazioni, un dialogo con Matteo Salvini ma anche con Giorgia Meloni.
Vicino al centrodestra?
Nelle ultime settimane la vicinanza tra Bonaccini e il centrodestra, da un pezzo del Pd vissuta con fastidio, si è vista in primo luogo sul tema aperture/chiusure. Basti vedere che nella penultima settimana di febbraio, prima che il contagio da Covid si diffondesse a macchia d’olio nel Centro Italia, il governatore voleva riaprire i ristoranti di sera. Posizione che era stata espressa in sponda con Matteo Salvini, leader della Lega, felice di trovare consenso su una “proposta di buonsenso”. Tradotto: cerchiamo di riaprire le attività il prima possibile cercando di far girare l’economia. Esattamente il contrario della prudenza predicata da Zingaretti, dalla sua segreteria e dal ministro della Salute Roberto Speranza. Nel concreto però l’auspicio “aperturista” è durato poco e rimasto solo sulla carta: Bonaccini, sabato 6 marzo, ha dovuto cedere all’ennesima zona rossa nella sua regione.
Ma cosa farà ora Stefano Bonaccini, principale candidato a subentrare come segretario Pd? Ufficialmente il governatore ha giudicato “sbagliata” la scelta di Zingaretti, invitandolo ad un ripensamento sulle dimissioni già annunciate via Facebook. Nel concreto però, e Zingaretti lo sa bene, Bonaccini sta tessendo la sua tela sui territori anche se c’è incertezza sulla effettiva data del congresso. La sua strategia, in sintesi, si muove su due assi definiti: ottenere l’appoggio di numerosi amministratori locali e coinvolgere nuovamente i renziani nel suo progetto. L’idea è che il Partito Democratico, da romanocentrico che è ora, diventi “sindaco-centrico” per aumentare il potere dei territori. Una linea di pensiero che già Matteo Renzi, chiamando il premier “sindaco d’Italia”, aveva cercato di portare avanti da segretario del Partito Democratico.
“Non ho tempo per il Pd”
Vero è però che le dimissioni di Zingaretti, arrivate con una tempistica inattesa, hanno sconvolto anche i piani di Stefano Bonaccini. Questo perché l’Emilia Romagna è in piena emergenza Covid e il tempo per organizzare truppe, correnti e strategie per Bonaccini è ridotto al lumicino. “Devo occuparmi della mia Regione e delle persone che stanno soffrendo, non ho tempo ora di pensare al Pd”, avrebbe infatti fatto trapelare il presidente emiliano.
Il partito degli amministratori
Di certo è che gli uomini e le donne su cui Bonaccini può contare sono il sindaco di Firenze Dario Nardella, quello di Bergamo Giorgio Gori e il primo cittadino di Bari Antonio Decaro (anche presidente dell’Anci). Pronti a sostenerlo ci sarebbero anche Elisabetta Gualmini (eurodeputata Pd ed ex vicepresidente dell’Emilia Romagna), Simona Bonafè (eurodeputata e segretaria del Pd in Toscana) e forse la sottosegretaria Simona Malpezzi.
Anche il governatore della Campania Vincenzo De Luca vanta un buon rapporto con Bonaccini, ma si tratta di una rete ancora poco organizzata per poter competere per la segreteria. Anche i contatti tra Bonaccini e le varie correnti Pd – in primis con l’ala riformista guidata da Lorenzo Guerini – sono ancora a livello embrionale. E per governare un partito così dilaniato al suo interno è importante avere una strategia solida, ben preparata e con tanti sostenitori alle spalle. Il problema è che di tempo per organizzare le truppe Bonaccini ne ha davvero poco, vista la diffusione delle varianti Covid in Emilia. E dunque il dilemma per il governatore emiliano potrebbe essere riassunto in questi termini: occuparsi ancora solo di Emilia Romagna (guardando inerte alle evoluzioni nel partito) o lottare a viso aperto per la segreteria, rischiando di bruciarsi?