Perché leggere questo articolo? L’Italia punta alla guida della Commissione Europea: Antonio Tajani appare la strada percorribile in caso di scelta di un esponente della maggioranza. Ma Meloni non esclude la carta Draghi.
Mario Draghi e Antonio Tajani, così vicini eppure oggigiorno così lontani. Perlomeno nelle strategie del governo Meloni. Il Ministro degli Esteri e l’ex presidente del Consiglio sono oggi le due carte più serie che l’esecutivo ha a disposizione qualora, nella prossima spartizione delle poltrone comunitarie dopo le elezioni europee del 2024, Roma mirasse a occupare lo scranno della Commissione Europea.
Le convergenze parallele di Draghi e Tajani
I due “eurocrati” per eccellenza d’Italia hanno condiviso tra l’Italia e l’Europa un percorso comune. Draghi è stato presidente della Banca centrale europea dal 2011 al 2019, negli anni in cui Tajani era vicepresidente di José Barroso e Commissario all’Industria a Palazzo Berlaymont prima (2010-2014) e presidente del Parlamento Europeo di Strasburgo poi (2017-2019). Inoltre, l’attuale ministro degli Esteri ha ricevuto da Silvio Berlusconi, tra il 2021 e il 2022, il ruolo di agente politico decisivo per l’appoggio di Forza Italia al governo Draghi, conscio che i tre ministri azzurri (Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, tutti usciti dal partito alla fine del governo) nell’esecutivo di unità nazionale non fossero certamente i più ortodossi seguaci dal Cavaliere.
Ora le strade di Tajani e Draghi convergono nelle strategie di Meloni. Secondo quanto risulta a True News, il centrodestra di governo deve risolvere un rebus in vista delle Europee. Far passare un nome gradito a Meloni e alla maggioranza mirando al sostegno di Partito Popolare Europeo e Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), il gruppo di Fratelli d’Italia, non basta. Serve un nome di spessore che possa restituire all’Italia una poltrona di testa dell’Europa.
Tajani può unire le istanze di Italia e Ppe?
Con la morte di David Sassoli a inizio 2022, anche l’ultima casella tricolore nelle istituzioni europee, il Parlamento Europeo, è passato di mano. Daniele Franco, ex ministro dell’Economia del governo Draghi, non sta avendo fortuna nella sua candidatura alla Banca europea degli investimenti. La Bce è blindata alla francese Christine Lagarde fino al 2027. Resta la Commissione o, più difficile, la guida del Consiglio Europeo, ove votano i capi di Stato e di governo. Visto che la Francia controlla la Bce e la Germania guida la Commissione Europea con Ursula von der Leyen, l’Italia pensa a rivendicare per sé la guida della Commissione dopo il voto del 2024.
Per questa ragione l’opzione Tajani appare sempre più credibile in casa Fratelli d’Italia, oltre ovviamente a ricevere la gradita sponda di Forza Italia. Quello di Tajani appare come un nome capace di superare qualsiasi test di “europeismo” e di unire esperienza pregressa nelle istituzioni e sintonia di vedute col governo Meloni. Col suo nome il Ppe potrebbe blindare per altri cinque anni la Commissione e Meloni, si ragiona in Fdi, avrebbe un credito da spendere a Bruxelles. E nemmeno il Partito Democratico italiano e il Partito Socialista Europea potrebbero avere molto da obiettare, si segnala nella maggioranza, qualora il Ppe fosse il partito più votato a Strasburgo e proponesse un organico sostenitore della “maggioranza Ursula” che ha eletto la von der Leyen cinque anni fa.
Il ruolo di Draghi
In questo gioco, cosa c’azzecca Draghi? Con metodo gesuita, il grand commis d’Italia e Europa come solito comunica poco e allude molto. Ma il suo ritorno in scena nelle ultime settimane, dalle parti della maggioranza, non è parso casuale. Dapprima l’entrata a gamba di tesa sul Patto di Stabilità da cambiare e superare, come uno sprone alla Commissione uscente ad agire. In seguito, la presa di posizione della von der Leyen che lo ha nominato titolare di un rapporto sulla competitività europea in ambito industriale, economico, tecnologico. Quella competitività che von der Leyen pare aver trascurato in molti anni del suo mandato, come insegnano le discusse riforme su auto elettrica e ambientalismo ideologico.
Accettando l’incarico, Draghi è parso alludere che il rapporto possa essere solo il primo passo. Dopo il quale potrà seguire una svolta operativa per consolidare la competitività di cui si parla. Magari direttamente dalla tolda di comando, come Draghi è solito fare. Nel centrodestra romano, questa eventualità è ampiamente considerata. Meloni, che dopo un inizio di sintonia ha, secondo quanto risulta a True-News, raffreddato nettamente i rapporti con il predecessore a Palazzo Chigi, non manca però di definire Draghi una riserva della Repubblica. Il ragionamento è che altri Paesi potrebbero, in prospettiva, provare a intestarsi la nomina di Draghi alla guida della Commissione Europea come mossa del cavallo per plasmare una maggioranza che metta Ecr ai margini: il pensiero va direttamente alla Francia di Emmanuel Macron.
Un nome europeo per valorizzare l’Italia davanti agli Usa
Se dalla primavera in avanti questa ipotesi dovesse concretizzarsi, dunque, Meloni tiene di riserva la carta di potersi intestare politicamente una proiezione di Draghi ai piani più alti dell’Europa, a garante dell’unità “continentale” di una maggioranza ampia in cui l’unica certezza pare la continuità di Popolari e Liberali. E il fatto che con ogni probabilità socialisti e conservatori dovranno, con buona pace dei veti reciproci, convivere nelle commissioni parlamentari e nell’esecutivo Ue. Un “governo Draghi” d’Europa, metafora della pace armata, come soluzione al Vietnam di Strasburgo non è un’ipotesi peregrina. Gli ambienti americani fanno capire che sarebbe, peraltro, l’ipotesi più gradita per blindare l’atlantismo comunitario.
Meloni, attenta ai desiderata dello Zio Sam, sa che in ogni caso, Tajani o Draghi, il nome che porterà a Bruxelles sarà dotato di altissime credenziali oltre Atlantico. In questo strano derby, chi appare come spettatore è la Lega. Contro cui, da tempo, lo stesso Tajani si è più volte mosso chiudendo a Rassemblement National e Alternative fur Deutschland come membri di una nuova euro-maggioranza. Il Carroccio, ad oggi, sembra destinato a poter toccare palla solo nel caso in cui all’Italia spettasse un commissario di rango medio o medio-basso. Ma tutto può cambiare nel Vietnam europeo, sempre più intricato tra partite aperte e sfide in arrivo.