Mettete dei fiori nei vostri cannoni. Ma se siete a corto sia di fiori che di cannoni, possono bastare anche dei semplici fiorellini, meglio se a contorno di un piccolo foro fatto con la penna nella brutta copia dell’elaborato che consegnate durante la prova di un concorso pubblico.
Dal 2003, con una sentenza del Tar Abruzzo, infatti, quel disegnino non può essere riconosciuto come un segno distintivo che agevoli il riconoscimento del candidato e può di conseguenza invalidare la prova. Anzi, nella sentenza pronunciata a favore della signora Antonella D.L., il collegio dei giudici amministrativi dell’Aquila così giustificavano la loro decisione: quei fiorellini potevano «essere considerati annotazioni provvisorie di pensiero successivamente confermate a penna; ma vale anche per i segni presenti in una pagine della brutta (che la commissione ha indicato come “fiorellini-cerchio”, ritenendoli segni di riconoscimento) che verosimilmente sono numeri cancellati (e con la cancellatura hanno assunto la forma di un pallino pieno) in un primo momento destinati a indicare (come si espone in ricorso) la sequenza di lettura di un periodo, successivamente abbandonato».
Nella giurisprudenza citata nel verdetto anche una sentenza del Consiglio di Stato, che è l’organo di secondo grado della giustizia amministrativa, che aveva esaminato il caso di un candidato che aveva scritto otto righe dell’elaborato in caratteri dell’alfabeto greco.
Tribunali amministrativi in voga dal dicembre del 1971
I Tribunali amministrativi regionali vengono interpellati veramente su tutto: dalla legittimità dell’attività di vendita di pollo fritto (una delle decisioni più recenti), alla liceità della bocciatura di uno studente, all’abbattimento degli alberi per costruire nuove rotonde stradali in vista dell’apertura di nuovi ipermercati. Accade da mezzo secolo, porta infatti la data del 6 dicembre 1971 la legge della loro istituzione.
Se non in piazza, allora in aula (del Tar)
Il Tar è l’organo al quale un cittadino si appella per avere giustizia se ritiene di aver subito un torto dalla pubblica amministrazione, di essere stato penalizzato in un concorso pubblico (diecimila i ricorsi negli ultimi cinque anni), ma anche per dirimere liti su pertinenze condominiali, dinieghi di trascrizione dei matrimoni gay: un universo che nel 2020, si è composto di 42.742 ricorsi presentati ai Tar italiani (ottomila in meno rispetto all’anno precedente e con l’8% in meno di sentenze emesse).Con la tempesta della prima ondata di Covid gli italiani hanno avuto meno tempo per litigare. E’ stata solo una pausa, perché, dopo, la giustizia amministrativa si è vista cadere addosso una valanga di ricorsi legati a Green Pass e vaccini. Se non in piazza, allora in aula!, sembra essere diventato il mantra di quanti protestano contro la “dittatura sanitaria”.
I giudici decidono di promozione o bocciatura degli alunni
Nel corso di questi cinquant’anni di Tar a fare la parte del leone – se si escludono i ricorsi di consiglieri comunali e sindaci – sono state però le scuole. Figure centrali tra i ricorrenti i genitori, che dopo essere diventati “amici” dei figli, abdicando al ruolo che gli competerebbe, si ergono a strenui difensori del pargolo bocciato o rimandato.
Tanto che in sede di scrutini finali molti studenti vengono promossi prendendoli per la collottola e attribuendogli una sufficienza anche se non meritata, perché “i genitori di XY sono dei rompi… che si rivolgono subito a un avvocato”.
Scorrendo le sentenze emesse dai Tar d’Italia in merito a bocciature, ne citiamo due. La più recente è quella della bocciatura annullata dal Tar Puglia dopo il ricorso ricorso dei genitori di un alunno al primo anno di un liceo scientifico del Barese: il ragazzo, a causa della didattica a distanza, non aveva potuto frequentare corsi di recupero.
Il Tar del Lazio, invece, ha stabilito che la bocciatura a scuola per troppe assenze non vale se si hanno voti eccellenti. Il caso preso in esame era quello di uno studente che aveva superato il limite delle assenze dalle lezioni a causa di una sindrome ansioso-depressiva: a causa di una fobia, il ragazzo non riusciva a stare in classe. Questo non gli impediva però di avere la sufficienza in tutte le materie e secondo i giudici amministrativi, l’alunno non poteva quindi essere bocciato. Tornando in Puglia, una sentenza del Tar di Bari del 2018 aveva annullato il 6 in condotta a un’intera classe, che era stata punita con quel voto per l’atteggiamento “omertoso” rispetto a un furtarello ad opera di due loro compagne durante una gita.
Il Tar fotografa l’evoluzione dei costumi della società
Le sentenze del Tar sono anche delle vere e proprie fotografie dell’evoluzione dei costumi della società italiana e di come cambiano le nostre percezioni e i nostri giudizi.
La sentenza lombarda sulle unioni civili
Il Tar Lombardia (sezione di Brescia), con sentenza 29 dicembre 2016, n. 1791 dichiarava illegittima la delibera della Giunta comunale di Stezzano (BG) 27 settembre 2016, n. 199, «nella parte in cui stabilisce che le unioni civili tra persone dello stesso sesso (l. 20 maggio 2016, n. 76) debbano essere celebrate da soggetti diversi dal Sindaco in una piccola stanza adiacente all’ufficio servizi demografici, introducendo così una disciplina deteriore, e perciò discriminatoria, rispetto a quella prevista per la celebrazione dei matrimoni civili».
Il Tar friuliano e il poliziotto indolente
Un anno prima, invece, il Tar Friuli-Venezia Giulia, con sentenza 26 giugno 2015, n. 318 stabiliva: «È legittimo il provvedimento che infligge la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio ad un assistente capo della Polizia dello Stato il quale, nell’esercizio delle sue funzioni all’interno di un commissariato, si era dolosamente disinteressato della presenza di un cittadino che attendeva di sporgere denuncia». E per avere giustizia per il povero Stefano Cucchi ci sono voluti anni…
A Venezia il sovrintendente di Polizia in giro in minigonna
Particolare rilievo assume il caso di un altro poliziotto in servizio presso la Questura di Venezia. Il sovrintendente di 53 anni era stato visto da alcuni suoi colleghi aggirarsi per la città lagunare: passeggiava vestito da donna, indossando una minigonna. Sottoposto a provvedimento disciplinare, il ministero dell’Interno lo licenziò e solo qualche anno dopo il Tar del Veneto stabilì che quella decisione era ingiusta, viziata da «eccesso di potere e illogicità della motivazione». I certificati medici attestavano un disturbo della personalità dell’uomo che aveva avviato un percorso di transizione.
Lo stalking alla collega carabiniere? Una questione privata…
Diverso il caso di una maggiore dei Ros dei carabinieri che era stato congedato dall’Arma dopo la denuncia per stalking di una collega con la quale aveva intrattenuto una relazione extraconiugale.
Dopo alcuni anni, il Tar, ne aveva disposto il suo reintegro. I giudici, stabilirono che anche se il comportamento dell’ufficiale è «stigmatizzabile e meritevole di una sanzione disciplinare» non era giustificabile «in applicazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, secondo con canoni di ragionevolezza e logicità, la massima sanzione comminata della perdita del grado per rimozione» e dunque il congedo con disonore. Il Tar stabilì che «i fatti in questione sono sostanzialmente inerenti alla vita privata del ricorrente ed estranei all’ambito professionale». Una decisione ampiamente discutibile. Erano i primi anni Duemila, chissà se oggi il pronunciamento sarebbe lo stesso.