Perché questo articolo potrebbe interessarti? Da quando è scoppiata la crisi militare tra Israele e Hamas, numerose Ong hanno lanciato strazianti ultimatum dalla Striscia di Gaza. Sono ormai settimane che ascoltiamo appelli identici, secondo i quali nell’intera area ci sarebbero energia, acqua e viveri “per un solo giorno”. Il tempo passa ma la realtà sembrerebbe essere diversa. Mentre la tecnica comunicativa delle stesse Ong potrebbe nascondere ben altro.
L’ultimo allarme, in ordine cronologico, arriva dal World Food Programme (WFP), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare e la più grande organizzazione umanitaria del mondo. Lo scorso 6 novembre, Cindy McCain, direttrice esecutiva del Wfp, spiegava che la situazione per la popolazione di Gaza era “catastrofica” poiché nella zona di guerra non viene inviato abbastanza cibo.
L’agenzia Onu aggiungeva che le scorte attuali di beni alimentari essenziali in quel di Gaza sarebbero stati sufficienti per altri circa cinque giorni. Si dà il caso che siano passati quasi dieci giorni dalla diffusione di questo ultimatum e che non si sia registrata alcuna apocalisse.
Potrebbe essere un errore, un arrotondamento oppure una previsione errata del Wfp. Basta tuttavia dare un’occhiata agli archivi di varie Ong per imbattersi in altri messaggi simili. Tutti smentiti dai fatti e seguiti da altri allarmi lanciati con lo stesso tono.
Gli ultimatum delle Ong su Gaza
Addirittura un mese fa, Stephane Dujarric, portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite, dichiarava durante un briefing al Palazzo di Vetro di New York che Gaza era sul punto di rimanere senza cibo, acqua, elettricità e forniture essenziali.
Negli stessi giorni, il WFP dichiarava già che le sue scorte di assistenza alimentare si stavano esaurendo, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) parlava addirittura di appena “24 ore di tempo” prima dell’apocalisse umanitaria.
Nella Striscia di Gaza “restano solo 24 ore di acqua, elettricità e carburante prima che si verifichi una vera catastrofe“, affermava invece il direttore regionale dell’Oms per il Mediterraneo orientale, Ahmed Al-Mandhari, aggiungendo che se gli aiuti fermi al valico di Rafah non fossero riusciti ad entrare nell’enclave palestinese, i medici avrebbero dovuto solo “preparare i certificati di morte per i loro pazienti”.
“Forniture esaurite”
“Più di 1,6 milioni di persone a Gaza hanno un bisogno critico di aiuti umanitari. I bambini, le donne incinte e gli anziani restano i più vulnerabili. Quasi la metà della popolazione di Gaza è costituita da minorenni”, scrive l’Unicef. Al 21 ottobre, secondo la stessa agenzia, le strutture sanitarie non avevano più carburante e funzionavano con le piccole quantità procuratesi in loco.
“Si prevede che queste si esauriranno nei prossimi giorni”, aggiungeva la stessa Unicef, facendo presente che la capacità di produzione dell’acqua era al 5% dei livelli normali. “Le forniture umanitarie preposizionate sono già esaurite. Le persone vulnerabili sono quelle più a rischio e i bambini muoiono a un ritmo allarmante, vedendosi negare il diritto alla protezione, al cibo, all’acqua e all’assistenza sanitaria”, concludeva il rapporto.
Ultimatum del genere, da un mese a questa parte, non fanno altro che accumularsi. Aumentando la confusione su quanto sta realmente accadendo e facendo emergere, agli occhi dell’opinione pubblica, la sensazione di un’urgenza modellata a piacimento.
La crisi umanitaria a Gaza
Il fatto che a Gaza sia in corso una grave crisi umanitaria, è fuori discussione. Il punto è che la tecnica adottata dalle Ong rischia di essere controproducente, o peggio, specchio di piaggeria più che grido di allarme seriamente attenzionato.
Del resto, come appena fatto, basta rileggere i molteplici annunci delle varie organizzazioni per accorgersi che qualcosa non torna. Certo, nel frattempo alcuni aiuti sono entrati a Gaza. Ma lo scenario, pur complesso non è forse ancora così vicino all’apocalisse come alcuni vorrebbero far credere.
Eccola, dunque, la “tecnica del penultimatum” che fa sorgere un dubbio legittimo. Per caso ci troviamo di fronte ad Ong filo palestinesi? E che, attraverso ripetuti allarmi, cercano di tirare acqua alla causa palestinese più che al loro compito neutrale di risolvere situazioni critiche? Domande che restano senza risposta.
Donazioni volontarie
In tutto questo, l’attività delle Ong hanno un costo. Il budget del WFP, ad esempio, si basa su donazioni volontarie derivanti da Paesi, istituzioni, organizzazioni, aziende e individui. Nel 2022, ha toccato quota 14,1 miliardi di dollari. Nonostante il record assoluto, il fabbisogno di bilancio totale di quel periodo era di 21,4 miliardi di dollari. Nel 2023 la somma è scesa a poco più di 6 miliardi.
L’UNRWA, che da ottobre denuncia la mancanza di acqua, cibo e risorse a Gaza, beneficia del generoso sostegno degli Stati membri delle Nazioni Unite, compresi i governi regionali e l’Unione Europea. Insieme, queste fonti rappresentano quasi il 93% dei contributi finanziari dell’agenzia, che aveva chiesto per il 2022 1,6 miliardi di dollari. E potremmo andare avanti con le altre Ong. Dalle quali sarebbe lecito attendersi maggiore accuratezza nei vari allarmi diffusi.