Perche leggere questo articolo? Quella tra Gaza e Israele è (anche) una social war. Una guerra di informazione che si combatte principalmente su Tik Tok. A colpi di hashtag e video. E in una situazione di blackout quasi totale dell’informazione, proprio i social media diventano l’unica una finestra di denuncia possibile attraverso cui i palestinesi possono far sentire la propria voce nel mondo. E lo fanno non solo diffondendo i video dei bombardamenti e delle privazioni, ma anche con efficacissime e sofisticate infografiche. Mentre i tiktoker israeliani ironizzano sulle sofferenze palestinesi con l’hashtag #Pallywood.
“Come palestinese che vive a Gaza non hai altra scelta che diventare un giornalista di guerra”. Un’affermazione che suona come una condanna quella di Plestia Alaqad alla CNN, la creatrice di contenuti palestinese di 22 anni che ha deciso di testimoniare le quotidiane sofferenze del suo popolo attraverso i social. Come Plestia, molti altri giovani palestinesi hanno sentito il dovere di reinventarsi giornalisti e attivisti armati di smartphone. “Una responsabilità necessaria” per informare, attraverso i loro occhi, le persone di tutto il mondo sulla realtà del conflitto israelo-palestinese. Così, nonostante il dolore e i pericoli, riprendono e raccontano tutte le esperienze di guerra che sono costretti a vivere ogni giorno. E lo fanno con dedizione, chiarezza, ricorrendo anche ad infografiche di impressionante qualità.
Un mix di citizen journalism e abilità di creazione contenuti che vede la luce su Tik Tok. Uno dei pochi canali rimasti attraverso cui i palestinesi possono far sentire le proprie voci contro l’oblio della propaganda israeliana. Ed è proprio su questa piattaforma che si sta combattendo quella che è, a tutti gli effetti, una “social war”. Sin dal primo attentato del 7 ottobre, infatti, militari e militanti filopalestinesi e filoisraeliani stanno usando le piattaforme online per documentare e propagandare le rispettive cause. Sfidandosi a colpi di hashtag e video.
I social, l’unica finestra d’informazione su Gaza
Quella tra Gaza e Israele è anche una guerra di informazione, dunque. Non è un caso che prima di lanciare l’invasione di Gaza via terra Israele abbia distrutto i ripetitori. Le informazioni ufficiali sul conflitto arrivano soltanto attraverso le agenzie di stampa ancora presenti nella Striscia, come Reuters e Agence France-Presse, o i canali delle organizzazioni umanitarie. Il numero dei loro corrispondenti però non è sufficiente a coprire tutta la guerra nella regione. Israele ha bloccato l’ingresso nel territorio ai giornalisti internazionali, affermando di non poterne garantire la sicurezza. E infatti, secondo il Commitee to protect journalists, in oltre sette mesi di guerra sono stati uccisi più di un centinaio di reporter nella Striscia di Gaza. E i superstiti non integrati nelle forze di difesa israeliane subiscono aggressioni, arresti e minacce.
In questo contesto di blackout quasi totale dell’informazione, i social network sono diventati strumenti fondamentali per aprire una finestra su Gaza. Il mondo guarda ciò che sta realmente accadendo sul fronte palestinese attraverso gli occhi dei suoi stessi cittadini e ciò che essi pubblicano sui loro profili. Attraverso video “didattici” o anche più crudi, questi nuovi registi raccontano la perenne minaccia di esplosioni, i soprusi e le umiliazioni dello sfollamento, offrendo agli estranei uno sguardo intimo sui costi umani della guerra.
Tik Tok sta cambiando il modo in cui il mondo vede la guerra
Le testimonianze dirette – e in diretta – dei palestinesi su Tik Tok sono uno dei modi più affidabili per comprendere la devastazione di Gaza. Un resoconto delle atrocità sul campo che è al contempo fattuale e personale. Attraverso i social, dunque, la guerra viene resa realmente più vicina al resto del mondo. Che empatizza e si preoccupa per questi cittadini reporter come se fossero davvero conoscenti o familiari. È il caso di Bisan Owda, meglio conosciuta come magic_bisan1 dai suoi 2 milioni di follower su Tik Tok, che ogni giorno controllano il feed sperando di vedere il suo volto e sentire un suo “sono ancora viva”. Solitamente iniziano così i video di Bisan da migliaia e migliaia di visualizzazioni, tante quante quelle dei suoi colleghi giornalisti palestinesi. La costanza delle loro immagini e il modo in cui vengono guardate in privato attraverso i telefoni crea una connessione e un impatto più immediati e forti sugli spettatori. Così, Tik Tok e gli altri social stanno cambiando il modo in cui vedere la guerra.
“Pallywood”: i tiktoker israeliani ironizzano sulle sofferenze palestinesi
I social, si sa, sono un’arma a doppio taglio. Se da una parte permettono al mondo intero di conoscere e aggiornarsi costantemente, dall’altra possono facilmente diventare megafoni di disinformazione. Soprattutto su un tema tanto polarizzante quale è il conflitto in Medio Oriente. Da quando la guerra è esplosa anche sui social, la fame di notizie ha spalancato pericolose porte alla propaganda e alle fake news. Sono centinaia i video di esplosioni e feriti che non riguardano il conflitto in corso. La narrazione propagandistica è invece alimentata dalla tendenza che vede i soldati israeliani postare video ironici sulla guerra. Su Tik Tok – e non solo – un crudele trend è diventato virale tra gli influencer israeliani: prendersi gioco delle sofferenze dei palestinesi. Sprecando acqua ed energia elettrica, o travestendosi da vittime con tanto di borotalco a simulare la polvere delle macerie.
Ancor più grave, se possibile, è la teoria complottista secondo cui i palestinesi starebbero fingendo morti e bombardamenti. Ofir Gendelman, portavoce del primo ministro israeliano presso il mondo arabo, ha postato su X una clip che mostrerebbe alcuni palestinesi allestire la scena di un bombardamento, scrivendo che “i palestinesi stanno fregando l’opinione pubblica internazionale”. In realtà si tratta del backstage del film libanese The Reality. La propaganda ufficiale israeliana, dunque, vuol fare credere che la guerra a Gaza sia una grande messinscena cinematografica, una sorta di Hollywood araba. E più questa assurda Pallywood (questo l’hashtag con cui tali contenuti vengono fatti circolare) prolifera sui social, più si rende estremamente necessario il lavoro dei cittadini palestinesi improvvisati giornalisti. A dimostrazione che, invece, le vittime e le devastazioni sono tutte reali.