Perché leggere questo articolo: Alfredo Mantovano è il “regista” di Palazzo Chigi. La sua rete d’influenza, tra mondo cattolico e servizi, si muove per legittimare Meloni in molti ambienti di peso
Il 3 dicembre a Milano Alfredo Mantovano sarà “cerimoniere” di un evento che mostra il legame profondo tra il regista di Palazzo Chigi e il mondo cattolico. Mantovano inaugurerà la rassegna L’Italia torna cristiana o non torna organizzata da Il Timone, importante rivista d’area cattolica.
Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si alternerà sul palco nel centralissimo Palazzo Biandrà, sede di Banca Mediolanum, con importanti ospiti. I giornalisti in prima linea: dal direttore di Libero, Alessandro Sallusti, a Mario Giordano e Mauro Mazza, ex direttore Tg2. A cui si aggiungeranno Mauro Ronco, giurista e presidente del Centro Studi Rosario Livatino, e Monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo di orientamento conservatore.
L’occasione vedrà il dispiegamento di uno dei mondi su cui l’attuale sottosegretario di Giorgia Meloni, storicamente vicino a Gianfranco Fini, ha costruito la sua carriera politico-istituzionale. Parliamo del legame col sistema cattolico e dell’associazionismo legato al versante conservatore della Chiesa italiana. A cui, da ottobre, si è aggiunto il controllo della strategica delega sui servizi segreti.
Mantovano e il mondo cattolico che guarda a Giorgia Meloni
Mantovano è stato in passato vicepresidente di Ronco al Centro Studi Rosario Livatino. Tale istituzione è dedicata al giovane magistrato assassinato dalla mafia nel 1990 e beatificato nel 2021. I suoi lavori studiano in prevalenza il diritto alla vita, la famiglia, la libertà religiosa, e i limiti della giurisdizione in un quadro di equilibrio istituzionale.
Con Ronco e il collega vicepresidente Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica di Avellino, Mantovano ha pubblicato Un giudice come Dio comanda, biografia di Livatino edita nel 2021 proprio da Il Timone.
Il Timone è una delle testate cattoliche, non legate al mondo progressista, che oggi guarda con attenzione al nuovo governo. L’ala più conservatrice del cattolicesimo italiana, incarnata da Mantovano, ha un peso decisivo sull’esecutivo. Al governo Meloni si chiede attenzione ai temi etici, difesa della famiglia e protezione della Chiesa e dei cristiani perseguitati.
Mantovano, non a caso, è stato anche presidente della sezione italiana dell’Ong di diritto vaticano Aiuto alla Chiesa che Soffre. Acs pubblica annualmente il rapporto sulla grande persecuzione mondiale dei cristiani ed è stata una delle associazioni più favorevoli all’istituzione della figura dell’Inviato Speciale per la libertà religiosa e il dialogo interreligioso nella diplomazia nazionale.
Da parlamentare di Alleanza Nazionale e del Popolo della Libertà, inoltre, Mantovano ha curato i rapporti con la Chiesa in passato. Risultando assai vicino a Camillo Ruini, il “sussurratore” politico di due Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, per le questioni italiane. Inoltre, dal lontano 1976 Mantovano è membro dell’associazione di riflessione e studio Alleanza Cattolica.
Perché la Chiesa non chiude a Meloni
Chiaramente c’è un mondo cattolico che guarda al nuovo esecutivo restando molto diverso dall’arcipelago più vicino al mondo progressista e di Sinistra. Quest’ultimo si fonda soprattutto su Caritas, Ong legate all’accoglienza dei migranti e, soprattutto, sulla Comunità di Sant’Egidio. Ma anche oggi la Conferenza Episcopale Italiana guidata da un cardinale progressista come Matteo Zuppi non ha pregiudizi al dialogo con il nuovo esecutivo.
Giorgia Meloni non strumentalizza la fede
Giorgia Meloni non strumentalizza la fede e, come ha ricordato Il Foglio, è considerata diversa da Matteo Salvini. Quest’ultimo guardava al sostegno del mondo reazionario d’Oltretevere vicino a figure come i cardinali Viganò e Burke. Meloni ha il sostegno di una corrente del mondo cattolico pienamente legittimata nel dibattito. Anche grazie a un uomo ritenuto di sincera devozione cattolica come Mantovano. Uomo che ha avuto recentemente modo di dichiarare che “la presenza di Cristo deve essere questo: non qualcosa di astratto cui dedicare cinque minuti al giorno, come si fa con le previsioni del tempo per capire se si debba prendere un ombrello, ma Qualcuno con cui avere a che dire e a che fare durante la giornata”. Parole che, a prescindere da ogni visione sociale e politica, in Vaticano non possono non risuonare positivamente.
La rete di Mantovano tra servizi e Usa
Oltre alla rete del mondo cattolico, Mantovano porta con sé anche un’altra importante fonte di legittimazione politica: la delega ai servizi segreti. Giorgia Meloni ha scelto infatti di concedere all’ex magistrato i poteri di coordinamento e supervisione sull’operatività dell’intelligence.
Mantovano ha una lunga conoscenza dell’uso dei servizi come strumento di contrasto alle minacce della sicurezza nazionale. Sottosegretario all’Interno nei governi Berlusconi II, III e IV (2001-2006 e 2008-2011) ha avuto la delega alla sicurezza. Nel 2005 ha pubblicato un “manuale” di antiterrorismo “Prima del kamikaze. Giudici e legge di fronte al terrorismo islamico”. Ha fatto parte del Copasir e, ricorda Formiche, “si è distinto per alcune proposte di legge, tra cui quelle sull’istituzione di una procura antiterrorismo e del riordino delle forze di polizia italiane”.
L’attenzione alla sicurezza nazionale e l’impegno sull’antiterrorismo gli hanno permesso di costruire ottime entrature nel mondo dell’intelligence e, soprattutto, verso gli ambienti legati agli Stati Uniti nel panorama romano. Tra i massimi esponenti dei “Fratelli d’America”, l’ex stretto alleato di Gianfranco Fini è stato preferito a Giovanbattista Fazzolari per il ruolo di sottosegretario e la conseguente delega ai servizi per il maggior gradimento del Quirinale e i consolidati legami fuori dal nostro Paese. Sull’asse Usa-Vaticano e sul combinato disposto tra mondo cattolico e vicinanza ai servizi segreti, che coordinerà in asse con la premier, Mantovano è pronto a diventare il silenzioso garante del governo Meloni. E a consolidare una cultura di governo che in molti storici membri di Fdi è ancora largamente deficitaria dopo lunghi anni all’opposizione. Da qui l’esigenza di affidarsi all’usato sicuro della vecchia guardia e alle sue reti relazionali e politiche.