Perché leggere questo articolo? La protesta dei arriva a Bruxelles. E mette in crisi un pilastro dell’Ue: il legame tra agricoltori e partiti conservatori. Sono sessant’anni che Bruxelles fa piovere finanziamenti sulle campagne per assicurarsi il voto contadino.
Giovedì 1 febbraio a Bruxelles sono deflagrate le proteste degli agricoltori. In occasione del Consiglio europeo, i trattori sono arrivati alle porte della capitale de facto dell’Unione europea. Le manifestazioni si sono fatte violente, con scontri, roghi e abbattimenti di statue. Gli agricoltori si scagliano contro l’Europa. Forse dimentichi di quanto l’Unione europea ha fatto per loro negli ultimi settant’anni. Qualcosa si è rotto, e quel qualcosa è forse il più resistente e importante blocco sociale (e di interesse) che ha retto la politica europea dal Dopoguerra: quello tra mondo agricolo e partiti conservatori.
Il legame tra conservatori e agricoltori
“Se non esistesse l’Europa che da oltre mezzo secolo li sostiene e li finanzia con i soldi dei contribuenti, probabilmente non esisterebbero neppure gli agricoltori” ha scritto oggi su Repubblica Andrea Bonanni. Il problema posto dalle proteste del popolo dei trattori va ben oltre la lista dei torti e delle ragioni della categoria. È ormai divenuto un enorme problema politico e, allo stesso tempo, culturale. Stanno venendo i nodi al pettine del più importante legame su cui si è retta la politica europea: quello tra conservatori e agricoltori.
Dalla sua nascita, l’Europa ha strenuamente deciso di sovvenzionare i propri agricoltori. Il motivo è essenzialmente politico. Gli agricoltori, infatti, per oltre sessant’anni, hanno costituito il principale serbatoio elettorale del voto moderato, tradizionalmente monopolizzato dai partiti popolari e democristiani. Le campagne hanno fatto da contrappeso al voto socialmente più progressista degli agglomerati urbani. Il risultato è stato la lunga, antagonistica ma fruttuosa cooperazione tra Popolari e Socialisti che ha governato l’Europa, e la maggior parte dei suoi Stati nazionali, nell’ultimo mezzo secolo.
La rottura dei trattori
Nell’anno delle elezioni Europee, però, questo dato politico sta rapidamente cambiando. Il popolo dei trattori contesta l’Europa che lo ha nutrito e tenuto in vita per tanti anni perché si rende conto che una realtà globale e globalizzata come la Ue non potrà difendere per sempre tutti i privilegi che finora ha garantito. Sta germogliando da una sorta di corto-circuito ideologico l’Alleanza, oggi sempre più stretta, tra il mondo rurale e le forze della destra populista e sovranista.
In Polonia, in Francia, in Italia, in Spagna, in Olanda, in Germania, il voto delle campagne alimenta estrema destra e la sua retorica anti-sistema che ne cavalca il malcontento. Ciò pone i partiti tradizionali di fronte ad un dilemma. Possono cercare di recuperare il consenso di quella frangia, minoritaria ma importante, della popolazione pagando un prezzo economico e politico sempre più alto. Oppure possono voltarle le spalle contando che il progresso selezionerà i pochi in grado di continuare a produrre con profitto grazie ad un salto qualitativo e abbandonando gli altri nella discarica della politica e della storia. Non sarà comunque una scelta facile, né indolore.
Quanto ha speso l’Europa per gli agricoltori
La politica agricola europea (Pac) ha assorbito anche fino al 50% del bilancio comunitario. Oggi si attesta intorno al 25 %. Ma la cifra assoluta dei fondi stanziati agli agricoltori non è diminuita: circa 55 miliardi di euro all’anno. Il dato, però, è ingannevole. Infatti la tutela che l’Europa offre agli agricoltori si manifesta soprattutto nei forti dazi doganali con cui Bruxelles penalizza le importazioni provenienti dai Paesi terzi, molto più competitive, creando così un mercato artificiale che tiene in vita l’Europa verde. Una simile politica commerciale non è, evidentemente, a costo zero sia per i consumatori, che pagano più cari i prodotti, sia per le ambizioni politiche della Ue.
Gli accordi di libero scambio con l’America latina, per esempio, sono bloccati dall’impossibilità di dare libero accesso alle carni e ai cereali prodotti in Brasile e Argentina per non mettere fuori gioco la nostra agricoltura. La questione agricola è stata di inciampo anche nel fallito negoziato commerciale con gli Stati Uniti. E quando la Ue, per solidarietà, ha abolito i dazi sul grano ucraino a buon mercato, i contadini di Polonia, Ungheria e Romania sono insorti bloccando coi trattori le frontiere e costringendo Bruxelles a una parziale marcia indietro. Come ricorda Bonanni, a fronte di sovvenzioni che assorbono il 25 per cento del bilancio comunitario, il settore agricolo rappresenta l’1,4 per cento del Pil europeo. E produce il 10,5 per cento del gas a effetto serra emesso in tutta la Ue.
Europa verde per più di 200 miliardi
Nel 2022 il Pil dell’Europa verde è stato di 220 miliardi, di cui circa un quarto sono fondi comunitari. Secondo le cifre della Commissione europea, il reddito pro capite degli addetti all’agricoltura in Europa è cresciuto nel 2022 dell11 per cento. Rispetto al 2015, l’aumento è stato del 44 per cento. Ovviamente ci sono molte buone ragioni che hanno fatto degli agricoltori europei una categoria altamente protetta. La prima è la manutenzione del territorio, anche se le organizzazioni di categoria contestano la norma Ue che impone di lasciare a maggese il 4 per cento dei terreni per favorire la biodiversità. Un’altra ottima ragione è quella di evitare il totale spopolamento delle campagne e un eccessivo inurbamento della popolazione.