Perchè leggere questo articolo? In Senato arriva il via libera al ddl sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. E Palazzo Madama si trasforma in uno stadio. Mentre il Carroccio canta vittoria, l’opposizione sventola il tricolore e intona l’inno di Mameli in segno di protesta. Due curve che si scannano sui simboli nazionali. Uno spettacolo poco edificante.
Il tricolore sventolato a gran forza, l’inno di Mameli cantato a pieni polmoni. Sembra di essere allo stadio a una partita della nazionale, invece no. E’ successo in Parlamento. A cominciare il teatrino non è stata la destra sovranista. I primi a sbandierare i simboli nazionali sono i membri dell’opposizione. Col partito democratico schierato in prima linea. Il Canto degli Italiani risuona nell’Aula di Palazzo Madama, intonato da tutti in funzione anti-leghista. Risuona un “la” contrario e contestatore, mentre passa la legge sull’Autonomia differenziata di Calderoli. Vera nota dolente per l’opposizione.
La Lega esulta, la sinistra tuona
Tra le proteste, la Lega canta vittoria. “Un primo passo verso un traguardo storico”, afferma Calderoli con tutto il Carroccio esultante per il primo sì in Senato al ddl sull’autonomia. Ora spetta alla Camera decidere per il via libera definitivo. Ma la maggioranza fissa un obiettivo: varare la legge prima delle elezioni europee del 9 giugno. Mentre Fratelli d’Italia è propenso a rallentare la marcia, puntando al tandem con il premierato. “Più poteri al premier significa controbilanciare con più autonomia sul territorio”, assicura il capogruppo leghista Massimiliano Romeo.
“La premier spacca il paese e svende il Sud a Salvini. Daremo battaglia in ogni sede”, afferma Giuseppe Conte. Così, a Palazzo Madama, le opposizioni denunciano il rischio di aumento delle diseguaglianze. In uno show che non prevede solo scenografie, ma anche sorprendenti dichiarazioni. “Siamo di fronte a un vero e proprio Contro-Risorgimento, che nega l’unità d’Italia e tradisce il Sud“. Così il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Il deputato Pd Peppe Provenzano si unisce: “Eccoli, i ‘patrioti’. Vogliono frantumare l’Italia e l’interesse nazionale”.
“La destra al Senato ha approvato una legge che spacca l’Italia. Una scelta contro la quale continueremo a combattere per difendere la nostra Patria”, aggiunge Nicola Zingaretti. Tra nuovi (e inaspettati) paladini dell’unità nazionale, anche Marco Sarracino, deputato e responsabile Sud della segreteria nazionale del Pd, che un tempo inneggiava alla rivoluzione bolscevica. “È un giorno triste per l’Italia. Il Senato ha approvato l’autonomia differenziata. Una proposta vecchia, sconveniente e ingiusta. Ma non è finita. Il Pd continuerà a battersi contro questo disegno”.
Ma il coro si fa allo stadio: l’uso (errato) dei simboli italiani
“La differenza è tutta qui: il Pd con il tricolore per difendere l’unità e la coesione nazionale, loro con il leone di San Marco per la secessione dei ricchi”. Così conclude Sarraccino. Insomma, qualcuno direbbe che una sinistra così patriota non si vedeva da anni. E’ servita la legge sull’Autonomia perché il tricolore tornasse a sventolare nelle mani di un dem, prendendo il posto delle bandiere rosse, arcobaleno, giallo-blu ucraina o della Palestina.
Un ritorno di spirito patriottico apprezzabile, anche se tricolore e inno non andrebbero usati solo in maniera strumentale per attaccarsi tra fazioni. Va bene riscoprire i simboli nazionali. Ma il coro si fa allo stadio, non in Parlamento. La storia dei simboli nazionali dovrebbe essere condivisa. E non occasione per teatrini tra curve.
Un po’ di storia, tra inno e tricolore
“Il verde la speme tant’anni pasciuta, il rosso la gioia d’averla compiuta, il bianco la fede fraterna d’amor”. Così scriveva Giovanni Berchet nella sua “Poesia dei tre colori”. Il tricolore italiano nasce il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia. Molte le versioni che riguardano la scelta cromatica del simbolo indiscusso di identità nazionale. Per alcuni il verde rappresenta i prati del nostro paese, il bianco la neve delle sue montagne e il rosso il sangue versato dai suoi soldati per ottenere la libertà. Per altri invece il riferimento si ispira alla bandiera rivoluzionaria francese. Al di là del significato, questi colori divennero presto il simbolo dell’unità e della libertà degli italiani. Per tutto il Risorgimento, fino alla nascita del Regno d’Italia nel 1861. Anche dopo la caduta della monarchia e la proclamazione della Repubblica nel 1946, il tricolore rimase bandiera nazionale. Solo senza lo stemma di Casa Savoia.
E’ invece a Genova che si deve l’inno di Mameli. Scritto nel 1847 dal ventenne Goffredo Mameli e musicato dal conterraneo Michele Novaro. Il Canto degli Italiani fu intonato per la prima volta nella Superba, durante una festa popolare. Fino a diventare il canto più amato del Risorgimento italiano e dell’unificazione. Anche se, dopo l’Unità, l’inno ufficiale del Regno d’Italia rimase la Marcia Reale, cara ai Savoia. L’inno di Mameli scontava una connotazione troppo repubblicana – a partire dal “Fratelli d’Italia” dell’attacco. Così venne ufficializzato come inno nazionale della Repubblica: era il 12 ottobre 1946.
I simboli repubblicani traditi tra partiti
Quello messo in scena dai partiti martedì in Senato è stato anche uno scontro tra icone, riti e simboli ufficiali. Una divisione assurda dell’identità nazionale, che rischia di privare questi ultimi del loro originario significato unificatore. Ben venga dunque che la Sinistra riabbracci il tricolore. Un monito per ricordare che il patriottismo repubblicano non è solo affare di destra. Come il 25 aprile non dovrebbe essere solo una festa di sinistra. Una lezione che nei sette anni di mandato al Quirinale ha provato a lasciare Carlo Azeglio Ciampi. Da presidente della Repubblica riconciliò gli italiani con i loro simboli: l’Inno di Mameli, la bandiera e il Quirinale stesso che chiamava la “casa di tutti gli italiani”. Il patriottismo repubblicano e i suoi simboli sono un patrimonio comune di tutti gli italiani. Le curve lasciamole agli stadi.