Perché leggere questo articolo? Marcello Foa esprime la sua visione sul caso Assange. Dalla persecuzione contro il fondatore di WikiLeaks al ricordo dei Pentagon Papers, viaggio nella sfida per un’informazione libera.
Il caso Assange mette allo specchio le nostre democrazie, ne evidenzia problematiche e storture e pone profondi dubbi sulla effetitvità della libertà di stampa e della democrazia stessa nei nostri sistemi. Ne è convinto Marcello Foa, giornalista, presidente della Rai dal 2018 al 2021 e oggi conduttore di Giù la maschera su Rai Radio 1. Parlando con True-News Foa, studioso del sistema dei media di cui ha parlato nei saggi Gli stregoni della notizia e Il sistema invisibile, sottolinea che sul caso della possibile estradizione negli Usa di Julian Assange “le problematiche da evidenziare siano essenzialmente due”.
Perché processare solo Assange?
Innanzitutto, ricorda Foa, “l’Alta Corte inglese deciderà se estradare Assange negli Usa perché sia processato, lui solo, per il furto di documenti che provocò l’ondata globale di rivelazioni avviata da WikiLeaks. C’è una grande incoerenza nel fatto che Assange debba, qualora ciò fosse ipotizzabile come reato, pagare da solo”. Il sistema WikiLeaks, lo ricordiamo, non fu opera di un solista. “Assange dirigeva una squadra articolata”, nota Foa, “ma soprattutto non fu da solo con le sue proprie forze e il suo esclusivo lavoro che le sue rivelazioni acquisirono visibilità globale”.
Foa argomenta infatti che “ogni rivelazione di WikiLeaks vedeva immediatamente attivati team internazionali di giornalisti che, divisi per area geografica, passavano al setaccio i documenti. E fatto questo si coordinavano per divulgarne le più esplosive rivelazioni”, soprattutto quelle relative alla disastrosa gestione americana delle guerre mediorientali di inizio secolo. Ivi compresi documenti che certificavano autentici crimini di guerra tra Iraq e Afghanistan.
“Le rivelazioni di Assange divennero di dominio pubblico grazie a questo lavoro”, sottolinea Foa, “dunque perché processare solo lui? Perché perseguitare Assange e non estendere le indagini e le inchieste a tutti questi team di giornalisti, se non addirittura ai direttori in carica in tempo?”, si chiede retoricamente Foa. Analizzando i problemi che sarebbero posti dalla classificazione di “associazione a delinquere spionistica internazionale” per i team di WikiLeaks e delle maggiori testate globali.
Foa racconta il grande problema della libertà d’informazione
Si pone dunque il grande problema “dell’effettiva tutela del diritto all’informazione e alla libertà di stampa“, ci ricorda Foa. Un diritto che “ha a che fare con la tutela della democrazia prima ancora che degli strumenti con cui le informazioni sono portate al grande pubblico”. L’ex presidente Rai fa un esempio richiamando al caso dei Pentagon Papers diffusi dal Washington Post negli Anni Settanta: “La Corte Suprema americana decretò che la libertà di stampa era un bene supremo per la democrazia assolvendo giornalisti, direttore e editore del Post per aver reso pubblico un enorme quantitativo di documenti classificati. Una grande lezione di libertà e democrazia che parla all’oggi”, nota Foa.
Il giornalista e saggista ammette di vedere “con amarezza declinare su questo fronte un Paese che rappresenta un punto di riferimento per me come gli Stati Uniti d’America: quella dei Pentagon Papers era un’America in cui la democrazia era compiuta e operante. Oggi si applica un approccio punitivo verso chi diffonde documenti classificati. A mio avviso”, aggiunge, “una svolta preoccupante”. Per il caso Assange, per i diritti umani che rischiano di essere calpestati, ma più in generale per la “crisi dei valori e dell’effettività della democrazia che casi come questo espongono. Problematiche che”, conclude Foa, “assieme all’emergere di censure non troppo velate che riducono il perimetro di ciò di cui si può discutere ridimensionano lo spazio d’azione della libertà di informazione nel mondo democratico”. Un monito per ricordare il periodo difficilissimo vissuto dall’informazione occidentale.