Perché questo articolo potrebbe interessarti? Torna in primo piano nel Pd, dopo gli arresti di propria esponenti in Puglia e Piemonte, la cosiddetta “questione morale”. Ma non è la prima volta che la sinistra cade nel panico quando si tratta di temi legati alla legalità.
Forse perché, all’interno dell’elettorato, l’argomento è storicamente tra i più sentiti. O forse perché, sempre rimanendo nell’ambito storico-tradizionale, il Partito Democratico è erede di uno dei partiti meno coinvolti dallo scandalo di tangentopoli. Fatto sta che, ogni qualvolta che a sinistra emergono importanti scandali, si parla subito di “questione morale”. E subito il tema assume l’aspetto di una bomba ad orologeria pronta ad esplodere nelle mani del segretario di turno, sia ai tempi del vecchio Pci e dei Ds e sia nell’attuale fase rappresentata dal Pd.
Le inchieste di Bari e Torino, con i relativi sospetti di compravendite di voti e di scambi elettorali aventi come presunti protagonisti elementi locali dei dem, stanno provocando non poche scosse di assestamento all’interno della formazione guidata da Elly Schlein. Con quest’ultima chiamata e spinta da molti del suo partito a dare un forte segnale sulla trasparenza e, per l’appunto, su quella che è stata già definita come questione morale. Ma Schlein non è la prima segretaria a dover rimettere assieme le macerie di presunte questioni morali emerse a sinistra: la storia, in tal senso, sembra ripetersi con puntuale quanto sorda continuità.
La “questione morale” negli anni ’80
Negli archivi della rivista Panorama è possibile ancora oggi trovare un articolo, datato 25 ottobre 1987, intitolato “C’era una volta la questione morale”. Tangentopoli non era ancora scoppiata, si era a meno di un lustro dalla rovinosa caduta della prima repubblica, ma della questione legata alla trasparenza già si parlava eccome. Del resto, si stava uscendo da un decennio contrassegnato da vicende che hanno contribuito, da lì a breve, a demolire dal basso il sistema dei partiti dei primi 50 anni di vita repubblicana.
Gli scandali legati alla P2, gli ambigui rapporti tra politica e criminalità organizzata, i misteri legati agli anni di piombo, sono tutti elementi che hanno alimentato nell’opinione pubblica e tra i partiti quella che, per l’appunto, è stata definita questione morale.
“La questione morale – si legge nell’articolo a firma di un giovane Augusto Minzolini – era un caposaldo della politica comunista nell’ultima fase della segreteria di Berlinguer, era una delle emergenze nazionali della presidenza di Sandro Pertini. E ora?”. Quasi a sottolineare che, soprattutto a sinistra, il “mandato” relativo all’importanza di rendere trasparente la politica era stato, se non tradito, quantomeno dimenticato.
Tra gli intervistati in quell’articolo, spicca anche Giuseppe Chiarante, all’epoca all’interno della direzione del Pci: “La questione morale è stata e rimane – spiegava – un argomento centrale nella vita democratica”. Adducendo, come causa di una possibile quiescenza nell’affrontare il tema, un “senso di assuefazione” derivante dall’aver parlato per anni dell’argomento senza però arrivare ad adottare precise contromisure.
La vicenda Unipol -Bnl del 2005
Ma il dossier che più ha fatto tremare la sinistra sulla cosiddetta questione morale, è arrivato nei primi anni del nuovo secolo. Nell’estate del 2005 infatti, è scoppiato il caso dei cosiddetti “furbetti del quartierino”, finanzieri cioè che hanno provato, non senza azioni reputate sospette da parte degli organi inquirenti, a scalare i vertici di alcune banche italiane.
Il primo filone ha riguardato il tentativo della Banca Popolare di Lodi, guidata da Gianpiero Fiorani, di acquisire Antonveneta. Nel luglio del 2005, alcune intercettazioni pubblicate su diversi quotidiani, hanno fatto emergere intensi rapporti tra lo stesso Fiorani e l’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio. Circostanza che ha reso di dominio pubblico lo scandalo e ha segnato l’inizio della cosiddetta “Bancopoli”.
Pochi mesi dopo, ad emergere è stato il secondo filone della vicenda, quello che ha interessato da vicino il centrosinistra: ossia il tentativo, da parte di Unipol, di acquisire Bnl. Unipol, è bene ricordare, è la società bancaria e assicurativa del mondo delle cooperative. Si tratta dunque di un gruppo tradizionalmente vicino alla sinistra. Quando nei quotidiani è apparsa anche l’intercettazione tra l’allora segretario dei Ds, Piero Fassino, e l’allora amministratore di Unipol, Giovanni Consorte, si è subito parlato di questione morale.
Molti intellettuali legati ai Ds, erede del Pci che da lì a breve andrà a fondersi con la Margherita per dare vita al Pd, hanno criticato l’atteggiamento del partito e dello stesso Fassino. L’accusa a lui rivolta è stata quella di aver preso una posizione di parte nell’affaire Unipol – Bnl, circostanza in grado di alimentare sospetti.
Famoso in tal senso è stato l’editoriale, pubblicato il 31 dicembre 2005 su l’Unità, di Furio Colombo: “La parola chiave che ci ha guidati in questi anni di opposizione a Berlusconi è legalità. E ci guiderà anche durante la campagna elettorale – si legge nell’articolo datato di quasi vent’anni – Ma attenzione. Legalità è anche la piena libertà dell’informazione…il comportamento e l’esempio di chi partecipa alla vita pubblica. Anche la scrupolosa attenzione a non sembrare mai fuori della legalità”.
L’editoriale ha destato clamore a sinistra, proprio perché si chiedeva per il futuro un comportamento in grado di non destare sospetto e si è evidenziato come il mondo giornalistico, anche quello legato al mondo ex comunista, era pronto a sollevare una questione morale interna ai Ds.
Pochi giorni dopo, in un’affollata direzione convocata da Fassino, il partito si è difeso dalle accuse pur ammettendo scelte politiche non consone: “L’operato di Consorte e la mancata presa di distanza dei Ds dall’operazione – si legge nel documento del partito approvato dalla direzione – hanno provocato profondo turbamento nell’elettorato del centro-sinistra. Occorre raccogliere le critiche, individuare con onestà e umiltà errori e contraddizioni per respingere la vergognosa aggressione con cui si tenta la delegittimazione morale e politica dei Democratici di Sinistra e dei suoi dirigenti”.
Il ritorno delle questione morale
Con l’avvento del primo decennio del nuovo secolo, il tema della legalità è stato quasi monopolizzato da Beppe Grillo e dal Movimento Cinque Stelle. Oggi la cosiddetta questione morale è però tornata a galla anche a sinistra: i dem temono contraccolpi in vista delle europee dopo gli arresti operati a Bari e Torino, da qui la richiesta alla segretaria del Pd di prendere subito delle decisioni.
Tra queste, la possibilità dell’approvazione di un codice etico o altre misure volte a porre il principale partito al di sopra di ogni sospetto. Oltre al tradizionale legame dei propri elettori con la questione morale, il Pd teme anche un altro non secondario aspetto: la possibilità per Giuseppe Conte e per il M5S di fare, ancora una volta, della legalità il proprio cavallo di battaglia.