La giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh è stata uccisa nelle prime ore di mercoledì 11 maggio mentre copriva per l’emittente qatariota un raid dell’esercito israeliano contro il campo rifugiati di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. La reporter, di 51 anni, indossava elmetto e giubbotto riportante la scritta PRESS, e secondo quanto riportato dalla stessa Al Jazeera è stata colpita al volto. L’emittente ha invitato la comunità internazionale a riconoscere le responsabilità di Israele per un crimine che “viola le norme e le leggi internazionali”.
La notizia sui media italiani
L’uccisione di Abu Akleh, che aveva iniziato a lavorare per Al Jazeera nel 1997 e che con lo scoppio della seconda Intifada era diventata un volto iconico per tutto il mondo arabo, ha ricevuto una copertura scarsa e approssimativa da gran parte della stampa italiana. Mentre la notizia viene messa in risalto da gran parte dei più autorevoli organi di stampa internazionali (dal Guardian al NY Times, passando per la BBC e per France24), in Italia l’uccisione della reporter palestinese (cristiana e con passaporto americano) è stata messa in secondo piano e trattata come completamente marginale.
Una scelta, quella dei media nostrani, che è di fatto coerente con la linea portata avanti negli ultimi anni, che vede uno slittamento della questione israelo-palestinese verso i margini del dibattito pubblico e politico italiano. Paradossalmente, l’Italia viene percepita ancora oggi dagli stessi arabi come uno dei paesi più vicini e solidali con la “causa” palestinese. Storicamente, la classe politica e gran parte dell’opinione pubblica italiana hanno sostenuto per lunghi periodi posizioni di sostegno nei confronti del popolo palestinese e delle sue rivendicazioni.
La situazione attuale vede invece il completo accantonamento della questione, sia nei media che nel dibattito politico. Il conflitto israelo-palestinese è ormai destinato a tornare in auge solamente in caso di escalation e ad essere trattato in modo superficiale e distaccato. D’altra parte, l’uccisione di Shireen Abu Akleh, che secondo Al Jazeera è avvenuta “a sangue freddo” per mano israeliana, rappresenta proprio un attacco alla libertà di stampa attraverso la soppressione di una delle voci più autorevoli e amate.
La dinamica e i possibili risvolti
Nelle ore successive alla morte della giornalista, Israele ha provato a incolpare una milizia palestinese, pubblicando un video a sostegno della propria versione dei fatti. Il premier Naftali Bennet è arrivato a incolpare direttamente “uomini armati palestinesi” per l’accaduto. La veridicità della versione israeliana è però già stata smentita da un esperto di geolocalizzazione secondo cui il luogo ripreso nel video pubblicato da Israele non coincide con quello del delitto, e grazie alle testimonianze di giornalisti presenti sul luogo è ora possibile ricostruire la dinamica della vicenda. Secondo quanto riportato, la morte di Abu Akleh è avvenuta per mano di cecchini israeliani che non avrebbero interrotto il fuoco neanche in seguito alla morte della giornalista. Un altro giornalista freelance, Ali al-Samoudi, è stato ferito alla schiena dagli spari degli cecchini. Secondo le testimonianze, tutti i componenti della troupe indossavano elmetto e giubbotto parascheggie, ma questo non avrebbe impedito ai cecchini israeliani di aprire il fuoco su di loro.
Solamente un anno fa, nel corso dell’escalation che aveva seguito gli sfratti del quartiere di Sheikh Jarrah, l’esercito israeliano aveva colpito l’edificio che ospitava gli uffici di Al Jazeera e Associated Press a Gaza. L’elenco dei giornalisti uccisi dalle truppe israeliane è tristemente lungo, e comprende anche il nome di Simone Camilli, il reporter italiano morto a Gaza nel corso del conflitto del 2014.
I funerali di Shireen Abu Akleh si sono tenuti a Ramallah. E’ da verificare quale sarà la reazione della comunità internazionale, Stati Uniti su tutti. In un momento storico di polarizzazione estrema, il rischio è che si possa arrivare a una nuova escalation. D’altra parte, le incursioni e i raid delle forze israeliane nell’area di Jenin sono ormai all’ordine del giorno. Ma in Italia se ne parla poco e male.