In quanto scoppia una guerra? Quanto tempo passa dalle tensioni al precipitare degli eventi?
Nei recenti sviluppi della crisi russo-ucraina non è stata necessaria la “pistola fumante”, il casus belli che giustifica l’intervento. La seconda fase di un conflitto che va avanti da otto anni è frutto degli avvenimenti dell’ultimo anno. Questo è quanto emerge da “La crisi russo-ucraina. Cronologia degli avvenimenti, analisi e documenti” il rapporto presentato alla Camera giovedì 24 febbraio, il giorno dell’avvio dell’offensiva di Kiev.
Ucraina, la crisi del 2014 con la fuga del presidente Janukovyc
La crisi era scoppiata ufficialmente la prima volta il 24 febbraio del 2014, con la fuga del presidente dimissionario ucraino Viktor Janukovyc, accusato di crimini contro i manifestanti di Euromaidan, a cui fece seguito l’occupazione russa di Crimea e Donbass. Secondo il report la nuova escalation del conflitto è databile a meno di un anno fa: tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2021 l’esercito russo ha iniziato a muovere grandi quantità di armi ed equipaggiamenti in Crimea e una flotta tra il Mar Caspio e il Mar Nero. Il New York Times stimava che in quei giorni circa 80mila soldati russi fossero ancora rimasti al confine.
Dopo un’estate di relativa calma, a novembre il direttore della CIA William Burns incontrava a Mosca alti funzionari dell’intelligence russa per comunicare al Cremlino la preoccupazione americana per la situazione al confine. Poco dopo il presidente ucraino Zelensky annunciava che la Russia aveva nuovamente ammassato circa centomila soldati nella zona di confine. Secca la riposta del Ministero della difesa russo, che definiva il concentramento di navi da guerra statunitensi nel Mar Nero una “minaccia alla sicurezza regionale e alla stabilità strategica”.
Iniziava un massiccio sforzo diplomatico, in un crescendo di manifestazioni di timore fino a che, con un discorso del 30 novembre, Putin dichiarava che un’espansione della presenza della NATO in Ucraina avrebbe rappresentato un problema di “linea rossa” per la Russia. Il giorno dopo, il segretario di Stato Blinken sosteneva di avere le prove di piani russi per un’invasione dell’Ucraina, e che l’Alleanza nel suo insieme era pronta a reagire, iniziando da sanzioni economiche di un livello inedito.
I tentativi americani per spegnere il conflitto
Se da un lato gli americani hanno cercato di “bruciare” i piani di Mosca, rivelando progetti e pretesti per l’invasione, dall’altro hanno anche provato ad aprire canali diplomatici per scongiurare l’attacco: come gli incontri tra Peskov e Blinken, e quello in videoconferenza tra Biden e Putin. La consegna della Russia agli Stati Uniti dei suoi progetti di trattati sulle garanzie di sicurezza – in base ai quali gli Stati Uniti si dovevano impegnare a non schierare truppe negli stati ex sovietici non appartenenti alla NATO, escludendo qualsiasi ulteriore espansione dell’Alleanza verso est – è considerabile il momento di maggior allentamento della tensione. Era il 15 dicembre 2021.
Con l’anno nuovo si è presto evidenziata la difficoltà di ratificare quell’intesa. La risposta americana ai colloqui bilaterali USA-Russia di Ginevra il 10 gennaio 2022 è stata definita “insoddisfacente” dal Cremlino. Iniziavano così i primi dispiegamenti di aiuti militari a Kiev dalla Nato e da vari governi europei, a cui la Russia rispondeva con la minaccia di ritorsioni sulla fornitura di gas.
Il 20 gennaio la Russia annunciava importanti esercitazioni navali delle sue flotte in tutto il mondo. Emergevano le prime divergenze all’interno del campo occidentale, con le preoccupazioni in particolare di Germania e Italia riguardo gli approvvigionamenti di gas russo. Il 26 gennaio 2022 si svolgeva un incontro nel “Formato Normandia” tra alti funzionari russi, ucraini, tedeschi e francesi a Parigi. Quello stesso giorno arrivava la risposta ufficiale con cui gli americani respingevano la richiesta di Mosca che l’Ucraina non aderisse mai alla NATO.
Ucraina: tensione crescente e il ruolo di Cina e Turchia
Sempre quello stesso 26 gennaio si svolgeva la videoconferenza tra un’ampia delegazione governativa russa con Putin e alcuni dei maggiori gruppi industriali italiani. Nel frattempo, il livello di tensione cresceva: la Russia incassava il sostegno della Cina e iniziava a strizzare l’occhio alla Turchia, con Putin che si diceva pronto ad accettare una mediazione del presidente Erdogan. Il mese di gennaio si concludeva con la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con lo scambio di accuse tra Russia e Usa.
L’ultimo mese prima dell’offensiva è stato un’alternanza di tensioni e negoziati, di schermaglie diplomatiche e di apertura a possibili colloqui. Dopo una ronda di colloquio di premier europei tra Mosca e Kiev, Biden approvava l’invio di truppe supplementari in Europa orientale per rafforzare il fianco orientale della NATO. Decisione bollata dal Cremlino come “distruttiva, ingiustificata e tale da ridurre il campo per le decisioni politiche”.
Il 3 febbraio il Pentagono confermava le anticipazioni del Washington Post di un piano russo per dar vita a un pretesto per poter invadere l’Ucraina. Il 4 Putin incontrava Xi Jinping a Pechino, in occasione della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali: il primo leader straniero incontrato dal presidente cinese dall’inizio della pandemia.
Ucraina, lo stallo negoziale e i primi tamburi di guerra
Il 6 febbraio, a fronte dell’ammassamento di nuove truppe russe ai confini, Washington annunciava che il tempo per la diplomazia stava rapidamente esaurendosi, vanificando il viaggio di Macron da Putin. Nelle stesse ore il cancelliere tedesco Scholz in conferenza congiunta con Biden ribadiva l’unità della Germania con i propri alleati nell’adottare tutte le misure necessarie in caso di attacco russo all’Ucraina, tra cui il gasdotto Nord Stream 2.
Nel completo stallo sul piano negoziale, il 12 febbraio gli Stati Uniti decidevano il ritiro di quasi tutti i consiglieri militari presenti in Ucraina, in parallelo al rafforzamento del fronte polacco con l’invio di altre tremila unità. Il giorno dopo durante l’Angelus Papa Francesco elevava una preghiera, rivolta direttamente alle parti in gioco, affinché si evitasse una guerra in Ucraina. Quello stesso 13 febbraio il presidente tedesco Steinmeier, appena rieletto, si soffermava a lungo nel suo discorso di insediamento sul cappio della Russia intorno al collo dell’Ucraina.
Il 15 febbraio Putin mostrava segnali distensivi, autorizzando il ritiro di truppe dal confine russo-ucraino, ribadendo di non avere intenzione di scatenare una guerra. Da parte americana, tuttavia, si reagiva con grande cautela, affermando che un attacco russo era ancora nell’ordine delle cose.
Il 17 febbraio, fonti della Casa Bianca, e poi lo stesso presidente Biden, dichiaravano alla stampa che la Russia non solo non aveva ritirato truppe, ma aveva aumentato i militari ai confini. Nel frattempo l’Esercito ucraino rendeva noto che le forze separatiste nell’Ucraina orientale avevano sparato colpi di mortaio nella regione di Lugansk, colpendo un asilo.
L’invio di truppe russe nel Dombass, le sanzioni e l’invasione
Il 18 febbraio si apriva inoltre la Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco: tre giorni di discussioni sui temi della difesa e della sicurezza tra i leader globali. La sera del 21, appena terminata la Conferenza, precipitava drammaticamente la crisi in Ucraina, con il riconoscimento di Putin dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, per poi ordinare l’invio di truppe nella regione del Donbass con lo scopo dichiarato di “assicurare la pace”. In reazione alla svolta russa, Usa e Ue adottavano le prime sanzioni contro la Russia.
Si arriva così all’alba del 24 febbraio, quando poco dopo le 5:45 il presidente russo Putin in un nuovo discorso televisivo alla nazione annunciava di avere autorizzato “un’operazione militare speciale” non solo nel Donbass ma anche nell’est dell’Ucraina: l’inizio dell’invasione.