Gli Stati Uniti hanno cambiato strategia in Ucraina. O per meglio dire: forse hanno appena iniziato a delinearne una. Dalla stampa internazionale e da interventi su quotidiani di casa nostra emerge chiaramente che, a questo punto, gli Usa non puntano al ritiro russo dai territori di Kiev, ma al logoramento delle forze di Mosca sul medio-lungo periodo. Quali rischi si celano dietro questo cambio di passo?
Haass: “Obiettivi dell’Occidente in Ucraina non chiari”
Fino a una settimana fa non ne parlava nessuno (in Italia). Le uniche voci lucide su questo tema si leggevano sulla stampa di lingua inglese. Il 22 aprile, ad esempio, la rivista americana Foreign Affairs – particolarmente letta negli ambienti politici e diplomatici di Washington – pubblicava un’analisi a cura di Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations. Il pezzo, emblematicamente, si intitolava: “Cosa vuole l’Occidente in Ucraina?”.
Nella sua disamina, infatti, Haass osserva che gli obiettivi di Stati Uniti e alleati in Ucraina sono – paradossalmente – molto meno chiari di quelli del presidente russo Vladimir Putin. E’ vero che quest’ultimo ha lanciato l’invasione con slogan come la denazificazione e la smilitarizzazione. Nel concreto vanno certamente declinate in maniera più chiara. Ma da Washington, per tutta risposta, sono arrivati quasi solo esclusivamente appelli e dichiarazioni d’impegno a sostegno di Kiev (oltre che aiuti militari in grande quantità), senza la fissazione di obiettivi precisi. “Le guerre – spiega Haas – possono finire quando emerge un grande divario tra i belligeranti in modo che una parte possa imporre condizioni all’altra, o quando entrambe le parti si rendono conto che la vittoria assoluta non è nelle carte e decidono che è meglio accontentarsi di meno che sostenere i costi di trasporto su”. Ma in Ucraina niente di tutto ciò sembra essere all’orizzonte.
Sachs: “Usa più riluttanti della Russia a trovare un compromesso”
Nel fine settimana, questo concetto di “confusione strategica” degli Stati Uniti e dell’Occidente è stato ripreso sulle colonne del Corsera dall’economista Jeffrey Sachs, direttore dello Earth Institute della Columbia University, nominato nel 2021 da papa Francesco all’Accademia Pontificia. Intervistato da Federico Fubini, Sachs osserva che “gli Stati Uniti sono più riluttanti della Russia nella ricerca di una pace negoziata”. La Russia “vuole un’Ucraina neutrale e l’accesso ai suoi mercati e alle sue risorse. Alcuni di questi obiettivi sono inaccettabili, ma sono comunque chiari in vista di un negoziato. Gli Stati Uniti e l’Ucraina invece non hanno mai dichiarato i loro termini per trattare. Gli Stati Uniti vogliono un’Ucraina nel campo euro-americano, in termini militari, politici ed economici. Qui si trova la ragione principale di questa guerra. Gli Stati Uniti non hanno mai mostrato un segno di compromesso, né prima che la guerra scoppiasse, né dopo”, spiega ancora Sachs.
L’economista, consigliere economico del Cremlino fra il 1990 e il 1993, conclude che “per salvare l’Ucraina dobbiamo porre fine alla guerra. E per porre fine alla guerra abbiamo bisogno di un compromesso in cui la Russia si ritira e la Nato non si allarga”. Ciononostante “gli Stati Uniti non accennano neanche all’idea, perché sono contrari. Gli Stati Uniti vogliono che l’Ucraina combatta per proteggere le prerogative della Nato. Già questo è un disastro ma, senza una soluzione ragionevole e razionale, ci aspettano rischi molto più grandi”.
Austin: “Obiettivo indebolire la Russia”
In verità, come già detto, gli Usa sembrano aver chiarito quelli che sono i loro obiettivi. Questo “cambio di passo” degli Stati Uniti in Ucraina è certificato anche dalle dichiarazioni di autorevoli esponenti dell’amministrazione di Joe Biden. In particolare il segretario di Stato americano Antony Blinken e il capo del Pentagono, Lloyd Austin. I due sono stati in visita a Kiev a fine aprile. Il segretario alla Difesa, in particolare, ha dichiarato a chiare lettere: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto in cui non potrà fare cose come invadere l’Ucraina”. Solo un mese fa ci si sarebbe aspettati una risposta differente. Ad esempio: “Il nostro obiettivo è il ritiro generalizzato delle forze russe”.
In altre parole, tutto farebbe credere che gli Usa si son fatti “ingolosire” dalla possibilità di regolare i conti con la Russia. E magari con lo stesso Putin. Quando hanno appurato che in fondo, al netto delle testate nucleari, dal punto di vista della guerra convenzionale Mosca ha problemi ancora molto seri. Il punto su cui diversi analisti concordano è che un atteggiamento del genere nei confronti della Russia rischia di spingerla ancor più nell’abbraccio cinese, anche per far fronte alle difficoltà economiche.
La sfida per Italia e Ue
Alla diplomazia europea ed italiana spetta l’arduo compito di capire il confine tra quelli che sono gli interessi da un lato e dall’altro dell’Atlantico, che in questa situazione sembrano tutt’altro che coincidenti. Con il bombardamento su Kiev mentre il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres era in visita nella città, Putin ha dimostrato – qualora ce ne fosse bisogno – che la scorta di razionalità nel prendere le decisioni al Cremlino si sta lentamente ma decisamente esaurendo. Se, dopo lo smacco subito con in ritiro da Kiev, le forze russe non dovessero aver successo neanche in Donbas – dove da giorni si parla di una spallata decisiva che però tarda ad arrivare – per Putin potrebbe essere la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Aprendo scenari da effetto domino che nessuno può prevedere.