Perché leggere questo articolo? Nikki Haley non riesce a vincere nemmeno dove Trump non è candidato. Un segno del prossimo declino della sua candidatura presidenziale? I possibili scenari
Nikki Haley anti-Trump alle primarie repubblicane? Le speranze del campo neoconservatore e dei repubblicani vecchio stampo di creare una candidatura alternativa a quella di The Donald si stanno sempre più affievolendo. Haley nelle primarie in Nevada è riuscita a non vincere nemmeno laddove Trump non era nella scheda.
Il flop di Haley in Nevada
Si trattava di un voto puramente simbolico perché nel Silver State il Grand Old Party correva…diviso. Da un lato, le primarie ufficiali dello Stato, che non assegnano delegati. Dall’altro i caucus locali chiamati tra gli iscritti che si terranno domani e in cui Trump è già certo di incassare, in quanto unico nome forte sulla scheda, tutti i 26 delegati. Haley corre solo dove non ci sono delegati e riesce a perdere contro…nessuno! Un dato politico notevole.
Nelle primarie si poteva scegliere tra i nomi dei candidati e l’opzione “nessuno di questi candidati“. E proprio Non of these candidates è stata la prima scelta degli oltre 67.500 votanti. I quali hanno bocciato la Haely premiando col 62,9% delle preferenze il rifiuto di ogni nome. Haley si è fermata poco sopra il 30, mentre emblematicamente un 4% dell’elettorato le ha preferito l’ex vicepresidente Mike Pence. Il quale, en passant, si è ritirato dalla corsa da circa due mesi.
Si tratta del terzo round negativo nel confronto con Trump alle urne per l’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite. La quale in Iowa si aspettava di non poter andare oltre il terzo posto ottenuto col 19% dei suffragi, ed è stata staccata di ben trenta punti da Trump, e in New Hampshire, su un terreno a lei favorevole sulla carta, ha subito uno stacco in doppia cifra nel primo confronto vis a vis con l’ex Comandante in capo dopo il ritiro di Ron DeSantis e Vivek Ramasway.
Sempre più “Trump Old Party”
Il Partito Repubblicano è sempre più blindato su The Donald perché, in fin dei conti, anche Haley viene nella sua posizione più rilevante nella politica americana dalle sue schiere. E non ha dimenticato che l’ex ambasciatrice vuole oggi essere presentata come figura di sistema più per creare un’alternativa artefatta a Trump che per reale diversità. Quel 62,9% è una bocciatura più sonora delle due vittorie di Trump in Iowa e New Hampshire. Mostra che c’è uno zoccolo duro di elettori che è pronto a recarsi alle urne in un voto senza influenza concreta unicamente per cassare le chance di nomination di chi vuole tarpare le ali a Trump.
Può essere che come ha scritto di recente nella sua autobiografia l’ex candidato presidenziale Mitt Romney, sconfitto da Barack Obama alle presidenziali del 2012, “una larga fetta del Partito Repubblicano non crede più nella Costituzione”. Ma pensare che l’alternativa al trumpismo possa essere Haley, ambasciatrice all’Onu di The Donald dal 2017 al 2021, è quantomeno peregrina. La politica indiano-americana è stata a lungo fedele alleata di Trump, anche dopo l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso nel gennaio 2021. A metà 2023 aveva addirittura detto che non si sarebbe candidata alle primarie se Trump avesse scelto di farlo, prima di scendere in campo.
Haley viene punita da un partito spostato sempre più a destra perché prova a disconoscerlo. Il suo curriculum politico, del resto, parla chiaro. Da governatrice del South Carolina, Haley ha difeso l’idea di tenere in casa e esporre le Bandiere Confederate nonostante il richiamo al razzismo che includono. Ferocemente anti-abortista, Haley ha al contempo sostenuto con forza l’uso della pena di morte.
Haley da super trumpiana a rivale. Ma gli elettori non la seguono
Nell’ottobre 2017, ad esempio, su sua iniziativa gli Stati Uniti, insieme ad altre 13 nazioni, hanno votato contro una risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite che condannava l’uso della pena di morte quando “applicata arbitrariamente o in modo discriminatorio” e condannava specificamente “l’imposizione della pena di morte come sanzione per forme specifiche di condotta, come apostasia, blasfemia, adulterio e relazioni omosessuali consensuali”.
Il 19 giugno 2018, Haley e il segretario di Stato americano Mike Pompeo hanno annunciato che gli Stati Uniti si stavano ritirando dal medesimo Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, accusando il consiglio di essere “ipocrita e egoista”; in passato, Haley l’aveva accusata di “pregiudizio anti-israeliano cronico”.
Haley inoltre ha difeso la decisione dell’amministrazione Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi e dall’Unesco e la rottura del patto nucleare con l’Iran. Nel febbraio 2021, dopo Capitol Hill, ha scritto sul Wall Street Journal: “La maggior parte delle principali politiche di Trump sono state eccezionali e hanno reso l’America più forte, più sicura e più prospera. Molte delle sue azioni dopo le elezioni sono state sbagliate e saranno giudicate duramente dalla storia. Difenderò volentieri la maggior parte del record di Trump e la sua determinazione a scuotere lo status quo corrotto a Washington”. Nel prosieguo della campagna, è probabile che questa alterità creata ad hoc emerga sempre di più, Consolidando un trend che vede Trump incamminato, in scioltezza, verso la sua terza nomination.