Perché leggere questo articolo? Giuliano Amato è tornato a parlare del disastro di Ustica, accusando la Francia di responsabilità. Vediamo cosa torna e cosa no nella versione dell’ex premier
Giuliano Amato è tornato a far parlare di sé con un’intervista-fiume pubblicata su Repubblica in cui esprime la “sua” verità sui tragici fatti di Ustica. In particolare, l’ex presidente del Consiglio e presidente della Corte Costituzionale lancia delle accuse pesantissime contro la Francia. Indicata come responsabile dell’abbattimento del DC-9 dell’Itavia scomparso sulla rotta Bologna-Palermo nella giornata del 27 giugno 1980.
Amato e la tesi del missile francese
Amato, ai tempi dirigente del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi e prossimo a essere eletto deputato e a venire nominato sottosegretario di Palazzo Chigi da Craxi nel 1983, inizio di una folgorante carriera culminata nove anni dopo con l’ascesa alla carica di Presidente del Consiglio, sposa una tesi tra le più diffuse nella storiografia. Quella, cioè, che vorrebbe il DC-9 abbattuto da un missile francese nel contesto di un duello aereo sul Mediterraneo. Il cui obiettivo avrebbe dovuto essere il dittatore libico Muammar Gheddafi.
“Si voleva fare la pelle a Gheddafi, in volo su un Mig della sua aviazione”, nota Amato parlando con il quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Le testimonianze del generale dei carabinieri Nicolò Bozzo unitamente alle ammissioni francesi del 2014 concordano nel definire la notte del 27 giugno 1980 come effettivamente molto attiva nel Mediterraneo centrale. Una portaerei transalpina, la Foch o la Clemenceau, sarebbe stata in navigazione. Caccia Mirage sarebbero decollati dall’aeroporto di Solenzara, in Corsica.
Per Amato, dunque, la versione è chiaramente sovrapponibile a quella descritta dall’allora premier italiano Francesco Cossiga negli ultimi anni della sua vita. Un duello aereo, il Dc-9 che si trova fatalmente nel tracciato dei missili, un abbattimento tragico e involontario come culmine di una missione inconfessabile.
La caccia a Gheddafi
La versione collima con i racconti di molti testimoni e cronisti – per la cui ricostruzione si rimanda alla lettura di Ustica – Una ricostruzione storica di Cora Ranci – che hanno ricostruito l’attività aerea nella regione come molto affollata. Così come Amato ricostruisce un quadro di omissioni e sospetti reciproci sulle indagini tra politici e militari che rispolverò un atavico dualismo e che è stato confermato anche da studiosi storicamente contrari alla tesi dell’abbattimento, da Gregory Alegi al generale Leonardo Tricarico.
L’Italia non vedeva in Gheddafi una minaccia per il suo finanziamento al terroristico e le sue scorribande regionali in Nord Africa. Inoltre, all’epoca l’apparato di avvistamento radar italiano era in larga parte orientato verso Est e il Patto di Varsavia, e dunque è legittimo pensare che un “buco” nella supervisione dei cieli possa aver effettivamente mancato di individuare una penetrazione di Mig e Mirage nello spazio aereo italiano. Il coevo ritrovamento di un secondo Mig libico precipitato sulla Sila nelle stesse giornate di Ustica lo conferma. E da qui potrebbero essere nati sospetti di scarsa attenzione sul caso o di negligenza alla base del braccio di ferro tra politica e esercito sul caso.
Il nodo sul ruolo di Craxi
Quel che non torna nelle parole di Amato sono alcuni particolari d’interesse storico, militare e strategico. Innanzitutto, Amato ricorda che è plausibile che l’ammonimento a Gheddafi di “scansare” la rotta del suo Mig dall’area interessata dalle manovre francesi fosse venuta da Craxi in persona.
Una versione che ricorda la notizia secondo cui nel 1986, in vista dei raid americani su Tripoli in risposta a un attentato finanziato dalla Libia a Berlino contro militari Usa, l’allora premier socialista avvertì il Rais libico per consentirgli di mettersi in salvo. La storia dell’avvertimento del 1986 fu raccontata Abdel-Rahman Shalgam, allora ministro degli Esteri di Gheddafi, a La Stampa nel 2008 e non negata da Giulio Andreotti, che all’epoca dei fatti era Ministro degli Esteri. Mentre era in vita Craxi non disse mai nulla al riguardo. Ma è acclarato che l’Unione Sovietica avvertì attentamente Gheddafi in anticipo.
Nel 1980, poi, Craxi era un semplice leader di partito e deputato senza accessi diretti a informazioni classificate d’indirizzo strategico. Presupporre che sapesse di una volontà francese di intercettare Gheddafi e abbatterlo significa ammettere che qualcuno, in Italia, sapeva e ha occultato la verità. Proseguendo sulla strada anche quando Craxi era entrato a Palazzo Chigi.
Amato e la versione su Cossiga
Amato dà poi un ruolo preminente a Cossiga come figura determinata, dopo la sua uscita da Palazzo Chigi, a sapere di più di quel che accadde nell’epoca in cui deteneva la carica di Presidente del Consiglio. Il dottor Sottile rcorda che da sottosegretario si occupò del dossier già nel 1986, dicendo che “la sollecitazione era arrivata dal presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, su pressione di parlamentari e intellettuali. A quell’epoca navigavamo ancora nel buio”.
Amato di fatto sposa la linea espressa da Cossiga nel 2007 su Ustica al programma rai Baobab. Salvo poi ricordare che l’ex capo del governo e dello Stato “aveva disturbi bipolari, era un uomo di forti sofferenze e grandi intuizioni. Sono stato a lungo testimone e riequilibratore delle sue intemperanze: cercando di proteggerlo da sé stesso ho anche visto le sue bizzarrie”. Amato indica nel 2008 l’anno dell’uscita di Cossiga, compiendo un leggero errore temporale, ma riconosce il suo contributo.
Vero è che né Craxi né Cossiga escono bene dalla ricostruzione di Amato. Ed essendo i due morti da tempo, non hanno nemmeno la possibilità di fare appello. Il primo appare come un leader spregiudicato e capace di muoversi fino in fondo in direzione ostinata e contraria alla linea dello Stato e della Nato. Il secondo come una figura fragile che solo decenni dopo lo vedevano intento a cercare la verità in fatti che lo vedevano direttamente coinvolto. Amato, ai tempi delle rivelazioni di Cossiga, era peraltro Ministro dell’Interno del governo Prodi II: verrebbe da chiedersi perché l’accertamento di tale versione da parte sua arrivi solo ora, sedici anni dopo.
La Francia e la Nato
Infine, Amato parla di un segreto “coperto per una ragion di Stato, anzi dovremmo dire per “una ragion di Stati” o per “una ragion di Nato”, ventilando che anche altri Stati potrebbero essere coinvolti. Da Amato, in passato il più filoamericano tra i socialisti, un’ammissione sul possibile fatto che anche gli Stati Uniti sapessero? E cosa potrebbero rivelare gli archivi Nato?
Forse Amato fa riferimento agli archivi delle cancellerie dei Paesi Nato più che a quelli dell’Alleanza Atlantica di Bruxelles. Fatto sta che c’è indubbiamente un’incongruenza su questo fatto. La Francia, ai tempi, era uscita dal Comando militare dell’Alleanza Atlantica, pur rimanendo firmataria del Patto Atlantico. E dunque, sul piano militare, era e rimase un attore indipendente fino alla presidenza di Nicolas Sarkozy, che reintegrò Parigi nei comandi. Cosa c’entri direttamente la Nato in quella che avrebbe potuto essere anche un’iniziativa autonoma francese è un’ultima, legittima questione su cui è necessario fare chiarezza.