Perché questo articolo potrebbe interessarti? Si è appreso nelle scorse ore che almeno tredici procure sono state raggiunte dagli ispettori del ministero della giustizia: l’obiettivo è quello di valutare il rispetto delle norme della riforma Cartabia e dei decreti che regolamentano i rapporti tra giudici e giornalisti. Scoperchiato così un autentico vaso di Pandora su un tema molto caldo: la difficoltà di individuare i confini tra presunzione d’innocenza e libertà di stampa.
È giusto dare un nome a un’inchiesta giudiziaria? Si tratta di una domanda che, da diversi anni, scuote i dibattiti politici quando si parla di diritto alla presunzione d’innocenza. A prescindere dalle posizioni e dalle idee in merito, secondo la riforma Cartabia le procure dovrebbero astenersi dall’attribuire nomi in codice a un fascicolo. In poche parole, al di là dell’opportunità o meno, dare nomignoli a un’inchiesta è vietato.
Nella sua interrogazione parlamentare discussa nelle scorse ore a Montecitorio, il deputato Enrico Costa ha però puntato il dito sulla denominazione, attribuita dalla procura di Milano, di Beagle Boys (Banda Bassotti) a un’inchiesta condotta contro una presunta maxi truffa allo Stato. Costa è un parlamentare del partito di opposizione Azione, ma sulla giustizia spesso negli ultimi mesi sembra aver trovato sponde nella maggioranza. A dicembre un suo emendamento è stato approvato dalla Camera e ha consentito l’inserimento, all’interno del codice di procedura penale, del divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare prima dell’udienza preliminare.
Anche in occasione della discussione sulla sua interrogazione, tra Costa e il governo è emersa una certa sintonia. A rispondergli in aula è stato il sottosegretario alla giustizia Guido Delmastro Delle Vedove: “Banda Bassotti – ha specificato l’esponente dell’esecutivo – non credo rientri nel diritto di cronaca, ma scivoliamo sulla spettacolarizzazione”. Delmastro ha confermato che un problema, sul punto relativo alla presunzione d’innocenza, in effetti c’è. Tanto da costringere il ministero della giustizia a inviare ispettori in 13 procure.
Le procure raggiunte dalle ispezioni disposte dal ministero della giustizia
Da via Arenula, sede del dicastero, gli ispettori sono stati inviati da nord a sud. La geografia delle ispezioni del ministero appare piuttosto variegata e la lista delle procure raggiunte dalle verifiche abbraccia l’intero stivale. È stato lo stesso Delmastro, durante il suo intervento al parlamento, a elencare le tredici procure interessate dal monitoraggio. Si tratta di Avellino, Brescia, Cagliari, Ferrara, Catanzaro, Frosinone, Livorno, Rimini, Rovigo, Tempio Pausania, Vercelli, Latina e Torino.
Ma, ha specificato il sottosegretario, l’investigazione toccherà gradualmente tutto il Paese. Ci sarebbe, a detta dell’esponente del governo Meloni, un calendario già redatto che verrà seguito e che consentirà di passare in esame il comportamento di tutte le procure. Così come sottolineato all’Ansa da fonti vicine a Delmastro, i primi esiti degli accertamenti sono attualmente in fase di valutazione.
Il motivo dell’iniziativa del ministero riguarda per l’appunto il rispetto della riforma Cartabia e, più in generale, il rispetto del principio relativo alla presunzione d’innocenza. “Intendiamo garantire – ha poi ribadito Delmastro – la presunzione d’innocenza, evitare la spettacolarizzazione mediatica, che tanto male ha fatto alla stessa percezione che i cittadini hanno della giustizia”.
Il nodo relativo ai rapporti tra magistrati e giornalisti
Il sottosegretario è tornato più volte sul punto riguardante la prevenzione della spettacolarizzazione mediatica delle inchieste e dei processi. Presunzione d’innocenza e spettacolarizzazione, secondo la visione dell’attuale governo, viaggiano di pari passo: per garantire la prima, occorre impedire la seconda. Da qui dunque il richiamo effettuato da Delmastro alla riforma Cartabia, la quale interviene soprattutto sulle intercettazioni, ma soprattutto il riferimento al decreto del 2021 secondo cui il pubblico ministero “mantiene personalmente o tramite persona incaricata i rapporti con la stampa solo attraverso comunicati o conferenze stampa”.
Il vero nodo quindi è quello inerente al rapporto tra magistrati e giornalisti. Un rapporto, seguendo non solo il ragionamento in aula di Delmastro ma anche la linea dei più recenti dibattiti sulla giustizia, giudicato non in linea con le attuali disposizioni. “È vietato per i magistrati – ha ribadito il sottosegretario – dare informazioni al di fuori di comunicati e conferenze stampa o dare denominazioni ai procedimenti lesive della presunzione d’innocenza”.
In poche parole, la stampa dovrebbe essere informata sull’evoluzione dei procedimenti e delle indagini solo tramite canali ufficiali individuati dalle norme. Il tutto per far rimanere all’interno dei tribunali le informazioni più importanti, potenzialmente lesive per la privacy dei terzi e per la presunzione d’innocenza. Ed è qui che la questione diventa ancora più complessa. Non si parla più soltanto del divieto di pubblicare intercettazioni oppure, come approvato poche settimane fa, di rendere note le ordinanze di custodia cautelare prima dell’udienza preliminare. Il discorso rimanda alle modalità di comunicazione tra le procure e le redazioni giornalistiche e, di conseguenza, anche alla libertà di stampa. A quello cioè che si può sapere o a quello che si può o non si può scrivere.
Il labile confine tra presunzione d’innocenza e libertà di stampa
Quella che forse era una delle tante discussioni su una delle tante interrogazioni, potrebbe nei fatti essersi trasformata in un vaso di Pandora riguardante il tema dei rapporti tra magistrati e giornalisti. Del resto, chiamare in causa due principi quali la presunzione d’innocenza e la libertà di stampa non è certo cosa da poco. Dopo il caso di Olindo e Rosa e la narrazione mediatica relativa all’udienza per la revisione dell’ergastolo, su TrueNews l’eurodeputato Dino Giarrusso ha parlato della necessità di “evitare sovrapposizioni tra il giornalismo e l’amministrazione della giustizia”.
“Bene seguire nuovi indizi – ha dichiarato il deputato nell’intervista – se grazie ad un lavoro d’inchiesta giornalistica questi emergono, male anche solo l’idea di farsi mettere pressione in sede giudiziaria da media e social”. Ben venga quindi, seguendo questo schema, l’inchiesta giornalistica giudiziaria a patto che il cronista faccia il suo mestiere e il giudice non cada nelle pressioni che potrebbero arrivare dall’esterno.
L’opposizione e la giustizia
Il problema però potrebbe porsi quando un’inchiesta giornalistica rischi di ledere l’immagine di un soggetto e la presunzione d’innocenza di un indagato. “È una questione di priorità – dichiara a TrueNews una fonte di Azione – è possibile salvaguardare tutti i principi essenziali tutelati dalla Carta, ma non si può negare che in Italia c’è un problema relativo alla spettacolarizzazione dei processi. Si deve quindi intervenire per garantire il principio fondamentale della presunzione d’innocenza”.
La maggioranza fa quadrato attorno le dichiarazioni di Delmastro e quello relativo alle garanzie processuali sembra essere un tema su cui il centrodestra punterà molto. Tutt’altro tono invece è emerso in queste ore dall’opposizione. Pd e Movimento Cinque Stelle hanno parlato di “legge bavaglio” e di tentativo di erodere la libertà di stampa. I dem hanno promesso battaglia, mandando in prima linea sul tema l’ex giornalista Sandro Ruotolo. Ma è tutto il centrosinistra a ritenere gravemente leso il diritto di cronaca.
Lì dove i confini sono labili, la guerra è destinata a durare a lungo. L’impressione è che su due temi così delicati e dai confini spesso porosi, quali la presunzione d’innocenza e la libertà di stampa, si dibatterà ancora a lungo. Non solo nel mondo politico ma anche nell’opinione pubblica.