Violenza di genere: “L’Italia torna indietro e la politica c’entra”
Perché leggere questo articolo? Sentenze che fanno discutere e sentenze che arrivano prima di un processo. L’avvocata Concetta Sannino spiega a True News perché la narrazione della violenza giudiziaria è strettamente legata alla cultura politica del nostro Paese.
“Molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni”; “giovane e disinibita”; “repentinità dell’azione”. Sono solamente alcune delle frasi che hanno destato clamore tra l’opinione pubblica nelle ultime settimane. Sentenze emesse prima di un processo e sentenze, quelle vere, che fanno discutere. Sembra che nel nostro Paese ci sia un problema di narrazione della violenza di genere che non riguarda solo il giornalismo, con i commenti di Facci su Libero Quotidiano o quelli in ‘casa Rai’ di Leonarduzzi e di Mazzucchi durante la finale del trampolino femminile sincronizzato ai Mondiali di Fukuoka.
Il problema riguarda anche il potere giudiziario su cui “quello politico sta iniziando a estendere la propria ombra”. A dirlo a True-news.it è l’avvocata civilista Concetta Sannino, la cui attività è focalizzata sulla difesa dei diritti delle donne e dei minori oggetto di violenza di genere e di violenza assistita. Secondo Sannino “l’Italia sta tornando indietro e la politica è una delle cause”.
“Sentenze che fanno violenza istituzionale”
Due sentenze emesse nelle ultime settimane hanno destato particolare indignazione. Quella con cui la Corte di Assise di Busto Arsizio ha condannato Davide Fontana alla pena di 30 anni di reclusione per aver ucciso Carol Maltesi nel 2022 e quella emessa dai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Roma che hanno assolto un bidello di un istituto scolastico accusato da una studentessa minorenne di violenza sessuale.
“Nonostante afferiscono a reati diversi, le due sentenze ideologicamente possono essere poste sullo stesso piano perché entrambe sottovalutano la violenza di genere e fanno violenza istituzionale. Inoltre creano un precedente che può condurre a una minimizzazione della violenza con una conseguente impunità da parte dei rei”, dice l’avvocata.
“Sentenza su Carol Maltesi sintomo di una cultura patriarcale”
Nella sentenza della Corte di Busto Arsizio si è definito l’imputato ‘innamorato’ e la vittima “giovane e disinibita”. Subito si sono scatenate le critiche alle quali non ha tardato la risposta del Presidente della Corte, Fazio che, al Corriere della Sera, ha detto: “…Il giudice non è qui apposta per valutare le circostanze? Se no, ci dicano che possono fare a meno del giudice. E, al suo posto, metterci un juke-box”.
Nessun juke-box secondo Sannino ma “giudici competenti ed empatici che siano obiettivi e che riescano a capire la vera essenza della violenza. Abbiamo bisogno di persone che diano i giusti connotati agli accadimenti violenti, che non giustifichino la violenza con bassezze che non rientrano in nessuna sfera giuridica e che diano delle risorse anche a chi agisce violenza perché il discorso del recupero dei maltrattanti non è sufficientemente spinto”. Secondo l’avvocata “la sentenza della Corte d’Assise è generica, superficiale e sintomo di una cultura patriarcale. Non si considera che una violenza è tale indipendentemente dal comportamento delle persone che la subiscono. Nel caso della Corte d’assise, la valutazione è gravissima”.
“Abitudine ricercare l’elemento che giustifica la violenza”
Anche la sentenza di Roma ha fatto discutere, specie per “la repentinità dell’azione, senza alcuna insistenza nel toccamento”, una brevità che per i giudici ha condotto all’assoluzione dell’operatore scolastico, scelta che ha scatenato polemiche e fatto nascere una petizione online per chiedere di rivedere la sentenza. “È come se si volesse giustificare una ‘natura umana irrefrenabile maschile’”, spiega l’avvocata. “È diventata abitudine ricercare l’elemento che giustifica la violenza a danno delle donne. La violenza è tale indipendentemente dalla durata. La violazione del corpo di una donna ha sempre lo stesso tipo di presupposto: è una violenza ed è un atteggiamento non gradito dalla parte che lo subisce”.
“Allontanarsi dalla politica se non si riesce a distaccarsi da vicende famigliari”
L’intervento della politica in vicende giudiziarie, secondo l’avvocata “è ben visibile nella vicenda che sta riguardando il figlio del presidente del Senato”, indagato per violenza sessuale contro un’ex compagna di liceo di 22 anni. In casa La Russa sembrerebbe che Leonardo Apache sia stato assolto dal padre che ha detto di “averlo a lungo interrogato” e di avere “la certezza che mio figlio non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante”. Oltre a ciò, il presidente ha anche concluso che “lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni dall’avvocato estensore”. Dichiarazioni su cui poi La Russa ha riferito di essere stato “frainteso”, di non accusare nessuno ma che, “da padre, dopo averlo a lungo sentito, credo a mio figlio”.
Ma cosa accade quando una carica istituzionale come La Russa si esprime pubblicamente e prende le parti del figlio? Lo avevamo già visto con il politico Beppe Grillo, che aveva pubblicato un video in cui prendeva le parti del figlio, Ciro Grillo, anche lui accusato di violenza sessuale. “Dichiarazioni simili possono avere riflessi sulla collettività. Specialmente in casi come questi bisognerebbe avere la lucidità di rimanere in disparte. La parte umana dovrebbe essere separata da quella politica e se non si riesce, in generale, bisognerebbe avere il coraggio di allontanarsi dalla politica”, dice Sannino.
“I manifesti di ‘Non una di Meno’ sono pericolosi”
A processare i La Russa ha pensato ‘Non una di meno’ Milano che ha rivendicato l’affissione di alcuni manifesti. Come accanto allo studio legale di Porta Romana del presidente del Senato con la scritta “El violador eres tu” (‘lo stupratore sei tu’). Una frase che si riferisce a una performance femminista cilena nata nel 2019 per protestare contro la violenza contro le donne, ndr. Ma questi manifesti secondo l’avvocata sarebbero pericolosi. “Una persona è innocente fino a che la sentenza non è definitiva e l’atteggiamento di chi usa la ghigliottina prima del tempo e fa giustizia sommaria è controproducente perché permette ai soggetti coinvolti di diventare a loro volta vittime. Bisogna essere più cauti nei giudizi e fare in modo che la giustizia faccia il suo corso. Fare determinate esternazioni quando si è in fase di indagine e nessuno conosce il fascicolo diventa rischioso. Questi manifesti ed esternazioni distruggono una lotta che è seria, che è concreta ed è mirata”, conclude.