I locali accessibili anche all’interno, stadi e palestre che tornano a riempirsi, il coprifuoco che va scemando fino a sparire e all’orizzonte discoteche e sale da ballo che potrebbero riaccendersi.
Giugno è il mese delle riaperture, e del virus che viene definito “clinicamente morto”. La sospensione del tempo in pandemia fa apparire dilatati i tempi, un eterno e monotono presente di restrizioni, scandito dal ritmo delle date delle ripartenze, con il ciclo delle stagioni che sembra confondersi con quello di riaperture.
Virologi più presenti in tv: la classifica
La pandemia, però, ha determinato la costituzione del virologo-in-tv, figura nata per divulgare informazioni rassicuranti e che l’infodemia (Treccani: “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza”) ha trasfigurato in una creatura differente: un influencer dell’influenza. Con buona pace della divulgazione scientifica e del principio di autorità.
Alberto Zangrillo
Eppure è già passato un anno da quella dichiarazione di Alberto Zangrillo, primario del San Raffaelle e medico personale di Berlusconi. Era il 31 di un maggio speranzoso con l’avvio della “Fase 2” voluta dal governo, e il suo dichiarare “Il coronavirus da un punto di vista clinico non esiste più” fece da spartiacque per l’avvio di un giugno aperturista e vacanziero, avviando una seconda fase anche nella percezione e nel dibattito sulla pandemia nostrano.
“Un anno dopo non mi rimangio una virgola della famosa frase oggetto di miserabili speculazioni da parte di tristi personaggi in quotidiana e affannosa ricerca della ribalta mediatica”. Zangrillo ha sfruttato l’anniversario per tornare sulla propria dichiarazione, come del resto negli ultimi 365 giorni hanno fatto pressoché tutti i suoi colleghi.
Fabrizio Pregliasco
In principio fu Fabrizio Pregliasco, il più “diplomatico” tra i virologi che vanta una lunga esperienza di presenze televisive. Era ancora febbraio e le prime avvisaglie del contagio iniziavano a farsi pericolosamente strada in Italia, quando Rita Gismondo, Responsabile diagnostica del Sacco aveva suscitata polemiche con la sua affermazione: “Siamo alla follia, si scambia un’infezione appena più seria per una pandemia”. La risposta di Pregliasco: “È un’amica ma la comunicazione è sbagliata. È saltato un elemento decisivo nella comunicazione dei cittadini. Rischiamo di non essere presi sul serio per tentare di tranquillizzare. L’iper-comunicazione ha spiazzato la comunità dove viviamo”.
Roberto Burioni
Il protagonista indiscusso della prima fase è stato tempo Roberto Burioni. Ha usato molto meno tatto di Pregliasco nel rivolgersi alla Gismondo, definendolo “la signora del Sacco”. Non è stato esente da polemiche il suo intervento a “Che tempo che fa” in cui ha affermato che in Italia il “rischio è a zero”.
È stato al centro di varie querelle con colleghi, come Giulio Tarro, primario emerito del Cotugno di Napoli e definito “due volte candidato al Nobel” dal deputato Gianfranco Rotondi. Titolo messo in discussione dal virologo del San Raffaele: “Tarro è stato candidato al Nobel quanto io a Miss Italia”.
Non si è fatta attende la replica del menzionato: “Su una cosa ha ragione: lui deve fare solo le passerelle come Miss Italia, ma senza aprire bocca”. Successivamente, tramite il suo legale Carlo Taormina, il professor Tarro ha querelato il professor Burioni.
Giuseppe De Donno
Non si è dibattuto solo sulle tempistiche e sull’entità del virus, ci sono state contrasti tra virologi anche sulle terapie per curare il Covid-19. Su tutte la plasmaterapia, su cui la virologa ed ex deputata Ilaria Capua ha detto: “Non esistono malattie a livello globale che si curano con il siero. Si tratta di una pratica che ha dei rischi”.
Perplessità espresse anche da Burioni. Ad entrambi ha replicato il professor Giuseppe De Donno, direttore della Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova: “Ho sentito in questi giorni tante cose che non vanno bene”.
In questo secondo anno pandemico abbiamo assistito a un’autentica polarizzazione del dibattito tra gli esperti. Al mutare delle condizioni sanitarie, tra il 2020 e il 2021, la scena sembra essersi cristallizzata in una sempre più netta spaccatura degli esperti tra “chiusuristi” e “aperturisti”. Non sono mancate le eccezioni, come pure le frecciate tra studiosi che prima del Sars-Covid-2 erano “colleghi” che si confrontavano a convegni e ora sono “ospiti” di trasmissioni televisive.
Ecco che questo difficile 2021, che dall’emergenza ha traghettato il mondo verso i più sicuri lidi della gestione e della fuoriuscita dalla pandemia, ha liberato il flusso di coscienza di virologi sovraesposti mediaticamente – più volenti che nolenti. In un anno hanno detto tutto e il contrario di tutto, e tra di loro se ne sono dette di tutti i colori.
Matteo Bassetti
Al fianco di Zangrillo si è schierato Matteo Bassetti, capofila degli aperturisti fin dagli esordi del virus che tacciava di non essere mortale: celebre è la sua dichiarazione secondo cui “nessun muore di Coronavirus” ma solo per cause correlate.
Andrea Crisanti
Sul fronte opposto della barricata troviamo il corifeo dei “chiusuristi”, Andrea Crisanti, finito nell’occhio del ciclone per le sue polemiche contro l’attendibilità del vaccino: “Io personalmente voglio che sia approvato e voglio vedere i dati”.
Massimo Galli
Protagonista indiscusso degli ultimi mesi è stato Massimo Galli che, dopo essersi auto-sospeso dalle comparse in tv a causa delle polemiche, si è nuovamente concesso ai media nazionali per ammettere il suo “compiaciuto stupore perché in Italia i numeri dell’epidemia sono in netto miglioramento, al di là delle più rosee aspettative”. Una presa di coscienza che, dopo due sotto le luci della ribalta, potrebbe suonare come resa a un inevitabile viale del tramonto per gli influncer dell’influenza.
di Stefano Marrone