di redazione
“Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”. Parole durissime nel post di Nicola Zingaretti su Facebook con cui annuncia le sue dimissioni da segretario del Partito democratic. “Sono stato eletto proprio due anni fa. Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Dovremmo discutere di come sostenere il Governo Draghi, una sfida positiva che la buona politica deve cogliere – continua -. Non è bastato. Anzi, mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni”.
Così parla Zingaretti. Dimissioni che fra i dem lasciano l’amaro in bocca: “Che mossa è?” mormora qualcuno a bassa voce. E invece un senso ce lo ha e non è dettata solo dalla rabbia. Da settimane nel partito volano gli stracci in vista dell’assemblea nazionale. Non è nemmeno più una notizia che a sfidare Zingaretti sarebbe stato il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, contando anche sull’appoggio degli ex renziani. Una fronda inaccettabile ma numericamente corposa. Per iniziare dal giorno successivo al voto a colpire sotto la cintura il Presidente del Lazio e sfiancarlo da dentro. Con le dimissioni Zingaretti dimostra di non starci. Si chiama fuori dal gioco al massacro e impedisce a Bonaccini di giocare il ruolo del “rottamatore”.