Perchè leggere questo articolo? Tutto pronto per Doha 3, il vertice convocato dalle Nazioni Unite per discutere della situazione in Afghanistan alla presenza dei talebani. Ma le donne afghane non sembrerebbero essere le benvenute. “Un tradimento che rende più profonde le nostre ferite”, ha affermato a true-news.it Rahel Saya, l’attivista afghana scappata dal regime. “Questa conferenza non fa nulla per le donne. Anzi silenzia e respinge le nostre lotte, legittimando le oppressioni dei talebani”.
Dall’agosto 2021, è in atto un vero e proprio Apartheid di genere in Afghanistan. Le donne afghane sono sempre più oppresse dal regime talebano. Private ogni giorno dei loro diritti fondamentali come studio, lavoro, assistenza sanitaria. E’ vietato loro persino camminare per strada. E adesso si sentono deluse e tradite anche dalle Nazioni Unite, nelle quali riponevano la speranza di ritornare ad una vita libera dagli abusi dei talebani. All’imminente vertice “Doha 3”, previsto dal 30 giugno al 1 luglio, infatti le grandi assenti saranno proprio loro: le donne afghane.
L’Onu le ha completamente escluse dall’agenda nel tentativo di ottenere la partecipazione dei talebani. Un approccio che non solo taglia fuori le principali vittime del regime, ma viola anche la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che promuove la piena partecipazione delle donne nei processi di pace e sicurezza. Questa rimozione del genere femminile dai processi decisionali per il futuro dell’Afghanistan non solo tradisce la lotta delle donne per i loro diritti, ma rischia di minare anche la credibilità dell’ONU stesso.
Le voci delle attiviste afghane: “Doha 3, un tradimento contro le donne”
Da quando la capitale Kabul è caduta, l’ONU ha tentato di arginare la barbarie talebana nei confronti del genere femminile, ma l’esclusione delle donne dal vertice di Doha rappresenta un grave passo indietro. “Un disastro straziante che rende le nostre ferite sempre più profonde. Un tradimento verso ogni donna afgana che ha lottato così duramente per i suoi diritti e la sua libertà”. Così Rahel Saya, l’attivista e giornalista afghana fuggita dal suo Paese dopo la presa dei talebani. “La terza conferenza di Doha sulla situazione in Afghanistan, condotta senza le voci degli attivisti della società civile e delle donne, non fa nulla per migliorare la nostra situazione. Al contrario, silenzia e respinge le nostre lotte. L’approccio delle Nazioni Unite dunque non fa altro che rafforzare la presa di un regime oppressivo, legittimando implicitamente i talebani”.
“Ignorando le nostre voci, la comunità internazionale volta le spalle al nostro dolore e alle nostre speranze”, ha proseguito Rahel Saya ai microfoni di true-news.it. “Sono profondamente addolorata e indignata per questo incontro. Non ha alcuna legittimità ai miei occhi o agli occhi delle donne afghane che continuano a sopportare immense sofferenze sotto il regime talebano. Non siamo solo vittime. Siamo combattenti, sognatrici e leader. Meritiamo di essere ascoltate, rispettate e incluse in qualsiasi discussione sul futuro del nostro Paese. Le nostre voci contano. Le nostre vite contano. E qualsiasi sforzo per plasmare il futuro dell’Afghanistan che ci escluda è fondamentalmente difettoso e ingiusto”.
Doha 3: le donne afghane gridano al boicottaggio
“In questo giorno così importante, la famiglia dell’ONU saluta le infaticabili donne che nel mondo stanno costruendo fondamenta robuste alla pace.” Così lunedì 24 giugno Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, celebrava le donne in diplomazia con l’ennesima Giornata Internazionale. Un messaggio che suona ipocrita, considerando che le stesse “infaticabili donne” saranno escluse dal vertice di Doha, il terzo round negoziale sull’Afghanistan, il primo in cui i padroni del Paese asiatico hanno accettato di essere presenti. La reazione delle attiviste, sia nel Paese che nella diaspora, non si è fatta attendere e da ogni parte del mondo si grida al boicottaggio. “Boycott Doha 3” è una delle tante iniziative di protesta diffuse su X, che vede 100 tra attiviste e difensori dei diritti umani proclamare: “No women on the agenda. No women at the table“.
L’ipocrisia dell’Onu
Suonano, invece, come giustificazioni quelle esposte dalla rappresentante speciale ONU per l’Afghanistan Roza Otunbayeva alla vigilia del vertice. “Stiamo avviando un processo di consultazione con Kabul, non stiamo legittimando de facto il regime dei talebani“. Ma nell’agenda del meeting di Doha si parlerà di stabilità regionale, economia e narcotraffico. Nessun accenno all’istruzione femminile né del rispetto dei diritti umani. Una scelta che molti attivisti considerano come un tradimento. Secondo loro, infatti, la comunità internazionale sembra essersi piegata ai diktat dei talebani, trattati come i legittimi governanti dell’Afghanistan. In risposta, Guterres ha affermato che “le Nazioni Unite non smetteranno mai di lottare per garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali delle donne e ragazze afghane”. Tuttavia, se procederà come previsto, il vertice Doha 3 non aiuterà affatto il popolo afghano e rischierà anche di compromettere irreparabilmente la credibilità dell’ONU.