Perché può interessarti questo articolo? La tragedia in Emilia-Romagna non può essere addossata solo al destino. La politica, nel suo complesso, ha grandi responsabilità: in Italia il dissesto idrogeologico non è stato mai contrastato con efficacia. Ci aveva provato Renzi con il piano Italia sicura, ma il primo governo Conte ha smantellato la struttura per crearne un’altra.
L’alluvione in Emilia-Romagna è il drammatico conto presentato dalla natura per la disattenzione verso il contrasto al dissesto idrogeologico. Una mancanza che si è stratificata negli anni, nei decenni, e così ogni primavera e ogni autunno trascina con sé delle calamità naturali legate a eventi meteorologici estremi.
La dimensione della tragedia dipende solo dalla fortuna, ma di tanto in tanto le alluvioni devastano le regioni più a rischio. Le immagini degli ultimi giorni sono le peggiori viste. E la politica non può scaricare le responsabilità sul destino cinico e baro: l’assenza di iniziative, di una progettazione efficace, pesa come un macigno.
Italia sicura, il piano di Renzi contro il dissesto idrogeologico
Anche quando ci sono stati progetti strutturati, c’è chi poi ha fatto marcia indietro. L’unico grande piano contro il dissesto idrogeologico è stato quello ribattezzato “Italia sicura” con il governo Renzi. Si trattava della creazione di un’apposita “Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche”. L’obiettivo? “Un’accelerazione all’attuazione degli interventi in materia”.
Dietro le parole c’erano soldi e una visione precisa con risultati ottenuti nei primi anni. Secondo i dati a disposizione c’era stata una spesa di 2 miliardi e 260 milioni di euro che aveva consentito il compimento dei lavori su 891 opere ritenute prioritarie per la gravità della situazione. Era tuttavia solo la metà rispetto alle 1.781 individuate nel primo triennio.
Il respiro era quindi più ampio con la messa a punto di un piano per la mitigazione del rischio idrogeologico: si voleva investire sulla sicurezza del territorio un totale di 33 miliardi di euro per oltre 10mila cantieri. Un’operazione imponente, inizialmente affidata a Erasmo D’Angelis, che da supervisore era chiamato a coordinare i vari attori in campo, compresi gli enti locali, per favorire un dialogo ed evitare le solite lungaggini burocratiche, denunciate come il nodo principale. Un piano che voleva andare oltre gli steccati di una sola legislatura.
Conte e lo smantellamento di Italia sicura
Tuttavia, con il ritorno al voto nel 2018 e l’esito elettorale di quelle politiche, si è insediato il primo governo Conte, quello gialloverde, che ha optato per un’altra strategia. C’è stato di fatto lo smantellamento della struttura di Italia sicura sostituito da Proteggi Italia, che sulla carta avrebbe dovuto assolvere agli stessi compiti. Sulla carta, secondo quanto riferisce un dossier della Camera, l’azione avrebbe garantito stanziamenti ulteriori per 14 miliardi e mezzo di euro. La grande differenza fu l’accentramento dei poteri sotto il ministero dell’Ambiente, all’epoca guidata da Sergio Costa, per volere del Movimento 5 Stelle e con la benedizione del presidente del Consiglio Conte.
Insomma, una battuta d’arresto con la partenza del cosiddetto Piano stralcio, che sostanzialmente era una “attività di revisione normativa” da cui, come spiegava il Ministero, sarebbe scaturiti “ulteriori semplificazioni procedurali che contribuiranno a velocizzare l’attuazione dei programmi d’intervento”. A gennaio dell’anno successivo si chiuse l’iter con un finanziamento aggiuntivo di 262 milioni di euro. La spinta data da Italia sicura di Renzi si era però esaurita e si è andati un po’ in ordine sparso.
Il Pnrr e i fondi per curare il territorio
La tragedia dell’alluvione in Emilia-Romagna riporta inevitabilmente il dossier in primo piano, con un faro puntato sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, che tra le varie cose prevede un investimento di 500 milioni di euro per «la realizzazione di un sistema avanzato ed integrato di monitoraggio e previsione che consenta di individuare e prevedere i rischi sul territorio». A questa cifra si aggiungono altri 2 miliardi e mezzo di euro per la «riduzione del rischio idrogeologico».
Un impiego di fondi che si articola a sua volta su due tipi di interventi, ossia le «misure strutturali e non strutturali nei territori più a rischio» e le «misure in favore delle aree colpite da calamità per il ripristino delle infrastrutture danneggiate e per la riduzione del rischio residuo». Insomma un accumulo di risorse che pure non riesce a rispondere alle reali esigenze del Paese. Perché la strategia “alla Conte” risulta perdente: i governi non devono smontare quanto fatto dai predecessori solo per far dispetto. Quando i progetti funzionano è bene tenerli in vita. Senza metterci le mani.