Perché leggere questo articolo? Dopo l’alluvione sono due i settori dove evitare la speculazione in Emilia-Romagna. Parliamo dell’edilizia e dell’agricoltura. In cui la storia insegna che bisogna stare all’erta.
L’alluvione in Emilia-Romagna, lo abbiamo ribadito, rischia di creare una coda non secondaria sul fronte della speculazione. E non parliamo di borsa, dove ad oggi non si registrano scossoni. Il rischio sta nell’economia reale.
I danni dell’alluvione
Già nei primi giorni dopo il disastro che ha colpito a metà maggio le province di Rimini, Ravenna e Forlì-Cesena le cronache hanno infatti registrato picchi anomali in diversi settori. Diverse fonti hanno accusato rincari nei negozi che vendevano i nuovi generi di prima necessità: stivali, pale, guanti, giacche e tute impermeabili sono andati a ruba, in un contesto che ha visto anche il comune di Forlì denunciare l’operato di “sciacalli” del commercio a fianco del ben più generoso apporto di chi ha donato agli alluvionati questi prodotti.
All’orizzonte si staglia però una partita ancora più ampia, quella della ricostruzione e del rilancio delle aree colpite. Servirà investire in infrastrutture, costruzioni, opere di contenimento, rilancio dell’agricoltura. Arriveranno miliardi di euro. Si dovranno impostare bandi, appalti e progetti a tutto campo. Il rischio di una ben più insidiosa speculazione nell’economia del territorio, quello sulla pelle dei cittadini che attenderanno risposte, non va escluso.
Allerta sulle finte coop
Non si tratta di gufare, ma di guardare alla storia. Pensiamo a un disastro recente, quello del terremoto di Amatrice e Accumoli nel Centro Italia, avvenuto il 24 agosto 2016. Lì l’emblema della tragedia fu il riso, raccolto in un’intercettazione telefonica, di Vito Giuseppe Giustino, presidente della cooperativa pugliese L’Internazionale, travolta n passato dall’inchiesta giudiziaria sugli appalti pilotati all’Aquila e dallo scandalo sulle coop rosse, sui futuri affari che la ricostruzione avrebbe comportato.
Cooperative edili, reti di imprese e costruttori, forti di un sistema consolidato nella regione più “rossa” d’Italia dovranno compiere un grande operato di scrutinio interno. Le future gare Consip per ovviare ai danni del sisma dovranno vedere partecipare cordate di specchiata competenza e capacità, non profittatori che potranno far lievitare costi e rischi di un rilancio monco dei territori alluvionati.
Il rischio speculazione in agricoltura
Questo un primo fronte. Un secondo tema sarà quello della ricostruzione del sistema agricolo che rischia, secondo gli esperti, di perdere il 20% di produzione sul fronte critico dell’ortofrutticolo. Qui i rischi speculativi sono di due tipi. Da un lato, quelle strettamente economico della competizione con l’estero.
Nel territorio riminese, ad esempio, mentre il Caar – Centro Agro Alimentare Riminese – inviava nella giornata del 22 maggio un camion di frutta e verdura fresche agli sfollati di Cesena a simboleggiare quanto i prodotti del territorio possano aiutare chi è stato colpito dall’alluvione, il settore è in sofferenza.
Le minacce al territorio
Il Corriere Ortofrutticolo, importante testata del settore, denuncia aumenti dei prezzi fino a tre volte per i prodotti agricoli nelle aree colpite e sottolinea che gli operatori temono per la futura continuità di un’area dove si producono frutti di ogni tipo, dalle pere alle fragole, sottolineando che il problema è sotto gli occhi di tutti.
Bisognerà ora capire quanti “potranno essere i danni a medio-lungo termine, difficilmente quantificabili al momento, con particolare riferimento alle numerosissime frane che si sono aperte e che continueranno a muoversi nei comuni dell’entroterra riminese: un dissesto idrogeologico che rischia di intensificare l’abbandono delle campagne e lo spopolamento della media collina, con gravi ripercussioni per le comunità e i territori stessi”.
Il nodo caporalato
Dall’altro lato, andrò evitato l’inserimento delle agromafie e degli sfruttatori del caporalato, che potrebbero prosperare in una zona grigia dove al settore servirà competitività e creazione di marginalità per prosperare. Un’inchiesta di Piazza Grande aveva nel 2019 sottolineato come i numeri del caporalato in Emilia-Romagna potessero riguardare fino a 30mila lavoratori, il 20% dei quali concentrati tra le province di Rimini e Forlì-Cesena. Anche su questi fronti bisognerà vigilare, per evitare che la ricostruzione delle terre alluvionate si trasformi in un’opportunità per profitto di pochi a scapito dei molti.