Perchè leggere questo articolo? Il Governo vuole dotare di bodycam gli agenti di Polizia. Ma per farlo si renderebbe necessaria anche l’introduzione di codici identificativi. Per Mario Borghezio (Lega) non una grande idea: “Un rischio per gli agenti, finirebbero nelle grinfie di delinquenti ed estremisti. Gli abusi di potere? Rarissime eccezioni regolarmente individuate”. L’intervista
Il sottosegretario al ministero dell’Interno Nicola Molteni ha annunciato l’arrivo di un emendamento che il Governo presenterà per introdurre le bodycam sulle divise degli agenti di polizia. Piccole telecamere che hanno la funzione di riprendere l’operato degli agenti, in modo tale da garantire una sicurezza maggiore da entrambe le parti. La normativa sulle bodycam farà parte del nuovo ddl “pacchetto sicurezza”, in cui vi saranno tre disegni di legge dedicati interamente alle forze dell’ordine.
Ad accompagnare la sorveglianza sull’uniforme, le proposte prevedono un aumento di pena per chi commette reati nei confronti di un agente di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria. Inoltre, verrà avanzata la richiesta di poter portare un’arma diversa da quella di ordinanza quando gli agenti non sono in servizio, senza la necessità di una licenza.
Bodycam, per Borghezio i codici identificativi sono “un rischio”
Tuttavia, in queste nuove proposte non si accenna l’introduzione dei codici identificativi, vere e proprie targhette di riconoscimento che gli agenti di altri Stati del mondo devono esibire. L’opposizione ha preso la palla al balzo e ha definito infatti inefficace la bodycam senza l’ausilio di un codice per identificare il presunto colpevole. Molteni ha poi definito i codici «strumenti contro le forze di polizia». Ne abbiamo parlato con Mario Borghezio, esponente di Lega Nord. «Codici identificativi? Un rischio per gli agenti, finirebbero nelle grinfie di delinquenti ed estremisti».
Borghezio, un commento sul codice identificativo degli agenti delle forze dell’ordine?
Per un principio basilare di tutela degli uomini e delle donne delle forze dell’ordine, ritengo che una politica dell’ordine pubblico prudente ed equilibrata non può che sconsigliare un codice identificativo, soprattutto in un Paese come l’Italia che ha forti gruppi estremisti organizzati di sinistra particolarmente pericolosi. Tenendo conto anche delle passate protezioni giudiziarie, non si possono mettere a repentaglio la sicurezza e l’integrità personale delle forze di polizia. In un Paese ideale è chiaro che tutti devono rispondere di tutto quello che fanno. Però qui sappiamo benissimo come funziona, basti pensare come agiscono i gruppi legati al terrorismo o gli stranieri difficilmente identificabili. Per cui, il problema si pone il contrario. Se vogliamo fare polemica, bisognerebbe preoccuparsi prima di identificare i professionisti dei “mordi e fuggi”, come coloro che assaltano le banche o coloro che durante le manifestazioni riempiono di graffiti i luoghi storici delle nostre belle città.
Il codice non potrebbe aiutare le indagini nel momento in cui avviene un abuso di potere?
Questo è abbastanza da escludere, perché nella nostra realtà le forze dell’ordine sono sostanzialmente esenti, salvo rarissime eccezioni che vengono regolarmente individuate e colpite. Oggi come oggi non esiste un pericolo di questo genere, proprio per la tradizione di equilibrio delle nostre forze dell’ordine nel loro normale agire.
Un codice “usa e getta” per ogni individuo potrebbe essere un compromesso?
Questo sempre in un Paese ideale, ma in un Paese come l’Italia in cui il segreto d’ufficio nelle cancellerie di qualunque nostra procura dura quanto un respiro, l’identità dei poliziotti verrebbe svelata in pochissimo tempo. Sarebbe un “usa e getta” del povero agente nelle grinfie dei delinquenti o degli estremisti.