Botero è morto quest’oggi, venerdì 15 settembre, all’età di 91 anni. Stando al quotidiano colombiano El Tiempo, l’artista si sarebbe spento in ospedale, nel Principato di Monaco, a causa delle conseguenze di una polmonite. Gustavo Petro, Presidente della Colombia, conferma la notizia via Twitter (pardon, X!) commemorando l’artista: “Fernando Botero è stato il pittore delle nostre tradizioni e dei nostri difetti, il pittore delle nostre virtù”. Una notevole gatta da pelare per la stampa italiana che, in tale luttuosa contingenza, si trova a dover rimetter mano ai coccodrilli (con ogni probabilità già pronti da almeno un paio di decenni) in nome del politicamente corretto. L’intera produzione artistica di Botero si incentra, infatti, sulla rappresentazione di donne grasse. Questo, però, non si può scrivere più. Anzi, su Instagram è già diverso tempo che l’aggettivo “grass*” viene censurato con asterischi e schwa, come fosse una bestemmia. Pena, la chiusura del profilo che si permette di scriverlo per intero. Per fortuna, qui non siamo sui social. Quindi, ci godiamo lo spettacolo della stampa nazionale che, tramite un complesso sistema di sinonimi e leve, cerca di aggirare l’ostacolo circumnavigando la realtà fattuale. Prego, non c’è di che. Andiamo a cominciare.
Botero, Sky punta su “una ricerca senza fine” (…del punto vita?)
Botero muore e, come si conviene alla scomparsa di ogni artista degno di nota, i canali tv modificano la programmazione per omaggiarne la memoria. Ebbene, prima della classe la solita Sky che riciccia il documentario “Botero – Una ricerca senza fine” in onda domani a partire dalle 19 pure su Now. Il comunicato parla di un “artista monumentale” e un sorriso scappa sulla bocca dei più malevoli. Se di sicuro qualsiasi percorso artistico è frutto di grande ricerca, qui si fa proprio “senza fine”. Non facilissimo, in effetti, trovare il punto vita delle modelle dipinte da Botero nel corso dei suoi decenni di gloriosa attività creativa. Saremo anche grevi, ce ne rendiamo conto. Il cortocircuito dei mille modi in cui la notizia della morte del pittore viene battuta a tv e web unificati, in ogni caso, resta divertente assai. Anche perché ancora non abbiamo approcciato il ginepraio in cui sono andate a incastrarsi le principali testate online. Prendete i pop corn (magari, non troppi)…
Botero dipingeva “figure umane voluminose”
Impossibile dirimere a chi per primo sia venuta l’idea. Certo è che ora come ora online i pezzi sulla scomparsa di Fernando Botero titolano incensando le sue “figure voluminose”. Anzi, alle sue “figure umane voluminose”. Quanto sono “umane”, loro, à-la Fantozzi. Se è vero che l’artista ha disegnato anche uomini, altrettanto fattuale un dato: nell’immaginario collettivo, il nome “Botero” richiama alla mente soprattutto immagini femminili decisamente in carne. Che ne poteva sapere il buon Fernando del body shaming? Del politicamente corretto? Del fatto che “grasso” oggi come oggi non sia più “bello”, ma “trigger”. I social, Instagram in primis, impediscono per policy agli utenti di comporre l’aggettivo per intero, invitandoli a censurarlo con asterischi per non ledere la sensibilità del prossimo loro. E chissà quante “sensibilità” avrà leso, Botero, con la sua arte! L’artista di origini colombiane ha avuto anche la faccia tosta di aprirsi uno studio qui da noi, a Maria di Pietrasanta, nel lontano 1983. Il Presidente della Regione Toscana lo ricorda via Twitter (pardon, X!) così: “Le sue opere sono state un ponte tra culture e un riflesso della bellezza universale”. Peccato solo che Botero, anno del Signore 2023, non avrebbe potuto iniziare la propria carriera. Non senza mettere le mani avanti e allungare il brodo con qualche messaggio sfuso a proposito della “body positivity”. Se ne va un grande artista e la stampa (inter)nazionale è a lutto. Per diversi motivi.