Alla fiera dell’ipocrisia risuona una sola parola: sportwashing. Che c’è, esiste, ma se quella è l’unica o la principale lente utilizzata per interpretare l’accelerazione dell’Arabia Saudita nel tentare di porsi a centrocampo negli equilibri finanziari del calcio, beh, significa essere completamente fuori strada.
Il documento programmatico Vision 2030
Né, del resto, si può paragonare l’opulento mercato estivo dell’Arabia e dell’orgoglio saudita alla bolla cinese di alcuni anni fa. Sarebbe fuorviante: diversi sono il contesto geopolitico e logistico, differenti gli obiettivi economici e istituzionali di medio-lungo periodo.
Di base, già nella sintesi del documento programmatico Vision 2030 si mette nero su bianco l’aspirazione a “eccellere ed essere tra i leader in specifici sport a livello regionale e globale”. Significa volersi porre quale hub di determinati sport scelti in base alla loro risonanza mediatica e alla possibilità di dominarne il gioco a livello economico.
Dove servono finanziatori, l’Arabia Saudita c’è
Dove insomma servono finanziatori, l’Arabia Saudita c’è. Ha iniziato dai motori e, negli anni, si è presa l’organizzazione della Dakar e una tappa della Formula 1 (debutto nel 2022: oggi si corre sul circuito di Gedda, ma è in costruzione un nuovo tracciato a Qiddiya), poi ha iniziato con il botto nel calcio portando nella Pro League Cristiano Ronaldo, altro livello rispetto a Bebeto, Denilson e Stoichkov, che vi avevano giocato alcuni decenni or sono. Nel frattempo il fondo sovrano PIF ha rilevato la maggioranza del Newcastle, che tra poche settimane tornerà in Champions League, e lo stesso fondo ha preso il controllo dei quattro club locali più amati e seguiti – Al Nassr, Al Hilal, Al Ittihad, Al Ahli – permettendo ingaggi straordinari che hanno convinto i vari Benzema, Ruben Neves, Koulibaly, Kanté e quant’altri.
Quanto accaduto nell’ultimo biennio nel golf racconta di mosse che possono essere prese quali riferimenti di un ipotetico scenario per il calcio. Due sono le premesse necessarie al ragionamento. La prima, tautologica, è che il golf non è il calcio, in termini di penetrazione popolare; la seconda riguarda le differenti logiche di governance, essendo il golf d’élite strutturato su leghe e non su federazioni. Detto ciò, vale la pena riproporre in poche righe l’opa lanciata – e realizzata – dai sauditi sul golf, ovvero la nascita del circuito LIV, una nuova lega che, a suon di milioni, aveva calamitato alcuni dei più grandi campioni del PGA e DP World Tour. Com’è andata a finire? Con la recente fusione in un nuovo e lucrativo circuito globale finanziato da PIF, presieduto dal governatore del fondo, Yasir Al-Rumayyan, e con lo statunitense Jay Monahan (PGA) come amministratore delegato.
Il denaro e le mire dell’Arabia Saudita possono cambiare il paradigma
Ecco: in un calcio turbocapitalistico ma ancorato ai vecchi schemi federali e abituato a ragionare sulla base di ciò che già c’è, il denaro e le mire dell’Arabia Saudita possono cambiare il paradigma. Magari qualche squadra saudita potrà diventare sufficientemente competitiva per affrontare il futuro Mondiale per club a 32 squadre, ma la disponibilità economica può essere determinante per la potenziale creazione di breakaway league internazionali, competizioni che oggi non esistono ma non è detto non possano sorgere. Soprattutto se, quando sarà il momento, la Corte di Giustizia Europea dovesse decidere contro l’UEFA nel caso proposto da European Super League.
L’Arabia Saudita ospiterà i Giochi invernali asiatici
Il quadro sarebbe incompleto se non inserissimo, poi, gli obiettivi sauditi sul mercato del leisure di lusso, non certo scollegato da quello dell’entertainment. Saudi Tourism Authority – che non a caso ha ingaggiato Lionel Messi come testimonial – punta ad attirare 100 milioni di visitatori annui entro il 2030, esplodendo l’industria del turismo, sino a pochi anni fa in prevalenza religioso, essendo l’hajj, il pellegrinaggio verso La Mecca, il quinto pilastro dell’Islam. Anche qui, lo sport c’entra: nel 2029, l’Arabia Saudita ospiterà i Giochi invernali asiatici. Dove? A Trojena, un resort montano ultratecnologico che ancora non esiste. Ed è questo che in Europa – dove ciò che non si vede, semplicemente non c’è – si fatica a capire. Mentre chi lo immagina, ci sta già lavorando.