Perchè questo articolo dovrebbe interessarti? Il 40% delle sentenze di primo grado finisce ribaltato in appello. L’ultimo eclatante caso a Genova, nella vicenda dello stupro di una pensionata. Perchè succede? True-news.it ha intervistato la criminologa Bruzzone. Che ci ha parlato anche del killer di Carol Maltesi, spiegando perchè sarebbe sbagliato applicare la giustizia riparativa
Nel sistema giudiziario italiano esistono tre gradi di giudizio prima di arrivare alla conclamazione definitiva della colpevolezza o dell’innocenza di un imputato. Nel secondo grado di giudizio, l’appello, si verifica sempre più spesso che venga ribaltata, o quantomeno mitigata, la sentenza emessa in primo grado.
Cinque anni di sconto allo stupratore
In Corte d’Appello, secondo alcune statistiche, verrebbe ribaltato il 40% delle sentenze emesse dal tribunale: imputati prima dichiarati colpevoli che sono riconosciuti colpevoli, oppure pene ridotte, come è accaduto recentemente a Torino, dove lo stupratore di una pensionata, condannato a 12 anni di reclusione in primo grado, si è visto ridurre la pena di cinque anni.
Ma quali sono i fattori che influiscono su questo fenomeno? Lo spiega l’avvocato Arturo Colocini in un articolo del suo blog (www.studiolegalefuochi): “Da una parte, si evidenzia la complessità delle materie trattate, che richiedono spesso una profonda valutazione degli elementi di prova. Dall’altra parte, emergono anche possibili errori procedurali o interpretativi durante il processo di primo grado“.
Giustizia a doppio binario
Il fenomeno è noto come giustizia a doppio binario. Quando ministro della Giustizia era il Cinque Stelle Alfonso Bonafede (2020), i radicali gli inviarono una lettera per conoscere il numero delle sentenze ribaltate in appello. Vi si leggeva: “Sappiamo che in ambito penale quasi 1 sentenza su 2 viene riformata in Corte d’appello. In pratica circa il 45% delle pronunce di primo grado è modificato in secondo, in modo parziale o con un ribaltamento dell’esito iniziale. Una materia così delicata, tuttavia, non lascia spazio alle supposizioni e riteniamo, dunque, essenziale che questo dato aggregato venga sviscerato e reso fruibile, affinché a parlamentari, studiosi e ai cittadini tutti, sia fornito uno strumento utile alla valutazione di un provvedimento che ha polarizzato le opinioni. Tale dato potrebbe raccontarci, per esempio, quante sono le sentenze di condanna che in appello divengono assoluzioni. Quanti in numeri assoluti i condannati che in secondo grado sono riconosciuti come innocenti?”
Negli anni Novanta percentuale ancora più alta
Secondo alcuni giuristi, la percentuale di sentenze riviste era ancora più elevata negli anni Novanta, quando a essere ribaltate erano il 60% delle decisioni dei giudici di primo grado. “E’ ovvio che se sopraggiungono nuovi elementi, una sentenza sicuramente verrà impugnata in secondo grado. Se gli elementi di prova sono gli stessi, una valutazione differente fatta dai giudici deriva dall’importanza che se ne dà, ogni giudice ha la possibilità di valutare il bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti”, spiega a True News la psicologa e criminologa Roberta Bruzzone.
Giustizia riparativa: sbagliato ammettere il protocollo per Fontana
Secondo Bruzzone, non bisogna collegare questo dato – come erroneamente qualcuno ha fatto – a un altro istituto, introdotto dalla legge Cartabia, quello della giustizia riparativa, dopo l’ammissione al percorso che intende creare spazi di confronto tra chi ha commesso il reato e chi ne ha subito il trauma, di Davide Fontana, l’ex bancario e food blogger condannato a 30 anni per l’omicidio, la distruzione e l’occultamento del cadavere di Carol Maltesi.
“Decisione discutibile sotto diversi profili”
“Ritengo questa decisione discutibile sotto diversi profili”, dice la criminologa, “ma soprattutto prematura. Anche se sulla carta non influenzerebbe ai fini della pena, in realtà è prevista un’attenuante specifica per questo tipo di adesioni. Lui potrebbe beneficiare di questa possibilità. Ma vista la natura dei reati per cui è andato a processo, io ritengo che in questi casi questo tipo di protocollo non dovrebbe essere applicato. La Corte di Assise non ha riconosciuto le aggravanti richieste dalla Procura (sevizie, crudeli motivi e premeditazione, ndr) infliggendo la pena in 30 anni al posto dell’ergastolo con isolamento diurno. Una sentenza che ha fatto discutere contro la quale la Procura ha presentato appello”.