Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Più di 100 femministe hanno inviato alla segretaria del PD Elly Schlein una lettera aperta contro la GPA (gestazione per altri). Ma quali sono le ragioni a sfavore e a sostegno della GPA? Ne abbiamo parlato con Silvia Baratella della Libreria delle donne di Milano, firmataria della lettera a Elly Schlein, e con una coppia di papà appartenenti all’associazione Famiglie Arcobaleno.
Le firmatarie sono attiviste del movimento femminista disseminato su tutto il territorio e comprendente realtà diversificate, dall’Udi ad Arcilesbica, dalla Libreria delle donne di Milano alla Casa delle donne di Pesaro e persino alcuni centri antiviolenza. Chiedono a Elly Schlein un incontro per discutere della GPA – la gestazione per altri – e delle misure per contrastarla. True-News.it aveva raccontato il mercato che ruota attorno alla GPA in un pov d’inchiesta. Ma quali sono le motivazioni per cui alcune femministe si schierano contro la gestazione per altri? L’abbiamo chiesto a Silvia Baratella della Libreria delle donne di Milano, firmataria della lettera a Elly Schlein.
La lettera aperta in questione è chiaramente contraria alla GPA. In che modo è una strumentalizzazione del corpo femminile?
Non puoi usare le funzioni fisiologiche di un’altra per realizzare le tue aspirazioni, per quanto legittime. Capisco che dispiaccia non poter avere figli, ma cliniche e mediatori su questo speculano: sfruttano le funzioni e il materiale genetico delle donne, e mercificano bambine e bambini.
Ci sono strategie affinché la GPA possa non essere una via di sfruttamento ma di empowering femminile?
No, non c’è strategia che tenga. Firmando il contratto di GPA la futura madre rinuncia non solo al legame con la creatura che metterà al mondo, ma alle libertà di una cittadina: di movimento, di sottrarsi a pratiche mediche non volute, d’espressione (non può rilasciare dichiarazioni pubbliche non autorizzate), sessuale (i rapporti sono vietati); non può contattare i committenti, ma dev’essere sempre disponibile per loro. E senza queste imposizioni il “rischio d’impresa” è troppo alto, non esiste alternativa. L’autodeterminazione non può ridursi a firmare di rinunciarvi in nome delle leggi di mercato. Così non solo lei perde “power” anziché acquisirlo, ma avallare questi contratti vuol dire che la libertà di ogni donna non è inviolabile, ma facoltativa.
Se si esclude la gestazione per altri per le motivazioni espresse nella lettera, quali richieste fare alla politica per tutelare tutte le famiglie e quindi anche quelle omogenitoriali?
La politica può fare molto riformando subito l’adozione per aprirla a singoli e a coppie non tradizionali, come quelle lesbiche e gay. Ma lesbiche e gay non sono uguali: i figli li fanno le donne. Gli uomini avevano inventato il patriarcato proprio per aggirare questo fatto: secoli di misoginia, patria potestà, cognome paterno, interdizione giuridica delle donne e censura della loro sessualità, tutto per espropriare la maternità. Nella GPA ricompaiono le stesse pretese, ma il patriarcato è finito con il femminismo, non li lasceremo ricominciare. Mille soluzioni sono possibili se invece della coppia riproduttiva si mette al centro la relazione tra madre e creatura, riconoscendo il legame di quest’ultima con le persone con cui la madre sceglie di crescerla: padre genetico, donna amata, amici gay… Ma la madre non si può aggirare. Gli uomini, eterosessuali e gay, devono prenderne atto. La politica anche.
D’altra parte non tutto il femminismo e i movimenti queer sono contrari alla GPA, anzi. Ne abbiamo parlato con una coppia di papà appartenenti all’associazione Famiglie Arcobaleno.
Cosa pensa della narrazione sulla GPA presente nella lettera aperta inviata a Elly Schlein? Come ha invece vissuto tu la GPA nel tuo percorso verso la genitorialità?
La lettera contro la GPA, scritta da un gruppo di femministe ad Elly Schlein, è appunto scritta da un gruppo, non dalla totalità di tutte le femministe italiane.
In quella lettera ci sono dei contenuti erronei: innanzitutto chi accede alla GPA in un paese straniero, non aggira la legge italiana come sostengono le firmatarie, ma accedono, in un Paese estero, a un percorso di procreazione medicalmente assistita nel pieno rispetto delle regole locali.
Nel documento viene criticata l’aspirazione delle coppie italiane omogenitoriali che fanno GPA nel vedersi riconosciuti, in Italia, entrambi come genitori, e propongono, le firmatarie, come alternativa, l’adozione in casi speciali da parte di quello che loro chiamano “partner del genitore”. Ecco, qui bisogna ristabilire un po’ d’ordine, dei fatti e anche cronologico: l’istituto dell’adozione speciale da parte del partner del genitore è una norma nata circa 40 anni fa per estendere la responsabilità genitoriale al nuovo o alla nuova partner di uno dei genitori, a seguito di separazione di una coppia eterogenitoriale, e quindi nasce per aggiungere, nei doveri da “genitore”, un adulto che arriva successivamente nella vita del figlio o della figlia.
Che differenza c’è tra PMA e GPA?
Profondamente diversi, in questo, sono i percorsi di PMA e di GPA in cui, se affrontati in coppia, i genitori – intenzionali prima e reali dopo la nascita – lo sono già entrambi, sin dal tempo zero di quel progetto e, infatti, riconosciuti come tali nei paesi stranieri in cui questi percorsi vengono affrontati. Aggiungo che la misura dell’adozione del figlio del partner (o adozione coparentale) è stata presentata all’interno della legge sulle unioni civili nel 2016 – sebbene fosse l’unica debolissima misura presente sulla genitorialità omosessuale – e da quella proposta legislativa stralciata, anche per responsabilità del lavoro parlamentare ed extra-parlamentare vicino a chi oggi firma quella lettera indirizzata alla segretaria del PD Elly Schlein. Inoltre, quando citano che l’adozione coparentale adesso è equiparabile all’adozione legittimante, dimenticano di dire, chissà come mai, che l’equipollenza è avvenuta come conseguenza di una battaglia legale portata avanti dall’Associazione Famiglie Arcobaleno a sostegno di una coppia di papà così come la prima sentenza di stepchild a due genitori dello stesso sesso si deve alla tenacia di una coppia di mamme. Curioso che proprio chi ci suggerisce, adesso, di accedere all’adozione coparentale, sia riconducibile a chi ha fatto di tutto per bocciarla nel 2016 e non ha impiegato energie per renderla più forte.
E infine, da ultimo, ma non meno importante: perché questo percorso emotivamente faticoso, economicamente costoso e dall’esito mai certo, deve essere affrontato da una coppia omogenitoriale e non da una coppia eterogenitoriale che percorre percorsi identici (PMA o GPA) per avere dei figli? Mi sembra che l’unica differenza tangibile fra i due casi sia l’orientamento sessuale dei genitori e non la pratica con cui i bambini nascono; altrimenti perché si parla di GPA solo in riferimento alle coppie di papà omosessuali, sebbene numericamente siano una percentuale inferiore alle coppie eterosessuali sterili che scelgono la stessa pratica?
La nostra esperienza di gestazione per altri si è fondata sulla trasparenza e sul rispetto di tutte le persone coinvolte, ivi compresi i nostri figli che sanno la loro storia di venuta al mondo.
Le donne che ci hanno aiutato e con cui abbiamo un legame intimo molto profondo, lo hanno fatto nel pieno della loro autonomia e consapevolezza. In California, le donne che partecipano a un percorso del genere devono rispettare requisiti rigorosi, che non riguardano solo gli screening fisici e psicologici, ma anche quelli di aver già avuto figli propri, dimostrare di avere proprie capacità economiche ed avere una rete familiare che possa supportare tale scelta. Nel nostro caso, con le persone che ci hanno aiutato, la relazione è cresciuta nel tempo, prima di decidere congiuntamente e sceglierci vicendevolmente.
Ricordo che era inizio estate 2019, prima del Covid, quando la nostra gestante è venuta in Italia con la sua famiglia, e, una sera, sul palco di un teatro milanese, ha parlato con la sua voce, davanti a una platea gremita, raccontando l’esperienza dal suo punto di vista e rispondendo, con calma e gentilezza, a ogni tipo di domanda. Noto che ogni tanto qualcuno o qualcuna si offre per “proteggere” queste donne, spesso senza conoscerle e senza nemmeno averle mai ascoltate, come se loro non fossero in grado di difendere le proprie scelte in piena autonomia.
In relazione alla sua esperienza, come la GPA può non essere una via di sfruttamento per le donne?
La GPA esiste da decenni in alcuni Paesi e, nel tempo, la normativa si è via via aggiornata, migliorandosi. La GPA va osservata e giudicata, in base al contesto normativo e sociale del Paese in cui viene fatta. Lo sfruttamento viene meno quando a garanzia del percorso esiste una disciplina forte, volta a tutelare tutte le parti coinvolte. Ed è proprio nei paesi dove l’esperienza e la disciplina sono radicate e trasparenti, che vengono fatti i percorsi di GPA da parte dei papà gay.
Alla luce delle difficoltà per le famiglie arcobaleno di essere registrate come tali in Italia ma ancor prima di diventare famiglie in questo Paese, di quali tutele ci sarebbe bisogno?
La tutela di cui c’è bisogno, e su cui il legislatore dovrebbe intervenire, è il riconoscimento dei figli e delle figlie alla nascita, assegnando a quei genitori intenzionali il dovere di essere tali. A prescindere da come quei bambini e quelle bambine siano venuti e venute al mondo. Questa misura, semplice nella descrizione, sarebbe omnicomprensiva di tutte le fattispecie con cui una coppia può diventare genitore. D’altronde, già oggi quando tradizionalmente nasce un bambino o una bambina e viene registrato all’anagrafe, nessuno si sognerebbe di chiedere un test del DNA al (presunto) papà, no?
Nel frattempo, per i figli e le figlie arcobaleno che già esistono, la tutela è quella di riconoscerli come figli dei propri genitori che li hanno desiderati, voluti e partoriti con il cuore sin dall’inizio, tutti i bambini e le bambine arcobaleno di questo Paese. In modo da garantire loro piene tutele (legali, sanitarie, educative, patrimoniali, etc.) e di inchiodare noi, che li abbiamo voluti, ai nostri doveri di genitori.