Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il mercato del vino in Italia è in grande ascesa e lo dimostra anche il caso siciliano: l’isola nel giro di 25 anni è diventata un’importante produttrice e ora è vista come modello per altre regioni. A pesare però c’è lo spettro di una “guerra del vino”, generata dal via libera dell’Ue alla proposta irlandese di etichettare le bottiglie con gli alert sanitari.
Negli ultimi anni si è avuta un’importante trasformazione del mercato del vino siciliano, con l’isola diventata produttrice di bottiglie e non solo mera fornitrice di uva. Un “miracolo” che sta contribuendo in parte a cambiare l’immagine della Sicilia, percepita dal mercato del vino internazionale come una nuova grande opportunità. E che testimonia, tra le altre cose, l’importanza che ha il settore nell’economia italiana. Ecco perché proprio Roma, assieme ad altri otto Paesi dell’Ue, ha promesso battaglia dopo il via libera dell’Ue all’Irlanda di apporre sulle bottiglie gli alert sanitari. Un modo per equiparare il vino, e gli alcolici in generale, al fumo in termini di danni alla salute. Circostanza in grado di recare molti danni al mercato e di generare così una disputa politica destinata a durare a lungo.
I dati dell’export del vino siciliano
Gli ultimi dati certi riguardano il 2021. Il primo dopo il lockdown e quindi il primo in cui i numeri possono dare reale contezza della situazione. Sono stati presentati da Assovini Sicilia durante la manifestazione, tenuta lo scorso aprile a Erice, denominata Sicilia En Primeur. Le cifre, raccolte da Winemonitor-Nomisma per conto di UniCredit, parlano di un trend nelle esportazioni in crescita del 20.7% rispetto al 2016 e del 16.8% rispetto al 2020.
Un dato che contiene sia luci che ombre. Il fatto positivo è che la crescita regionale supera quella nazionale. Rispetto al 2020 infatti, secondo i dati diffusi dall’Istat, la crescita del valore dell’export di vino italiano si è attestata al 12.6%. Le ombre però riguardano il mancato “exploit” delle esportazioni made in Sicily. L’isola, tra le regioni italiane, è ancora al decimo posto in termini di valore assoluto delle esportazioni con i 139 milioni di euro di introiti registrati. Complessivamente, l’export del vino siciliano rappresenta poco meno del 2% del vino italiano.
Da un’isola con 98.000 ettari di terra vitata, dato questo reso noto da Antonio Rallo, presidente del Consorzio Vini Doc Sicilia, ci si aspetta senza dubbio molto di più. Anche perché l’appetito internazionale sulle bottiglie siciliane è in aumento e ora, per capire il trend, si aspettano i dati dell’anno appena trascorso.
Una produzione iniziata solo sul finire degli anni ’90
Nel valutare il posizionamento dell’isola nelle classifiche però, occorre partire da un presupposto: la produzione siciliana ha avuto origine, rispetto ad altre regioni, in un’epoca molto più recente. “Qui la storia è cambiata tra il 1995 e il 1996 – ha confermato su True-news.it Carmelo Morgante, uno dei produttori più attivi della provincia di Agrigento – da allora il mercato ha cambiato volto e ha contribuito anche a un’immagine diversa della Sicilia”.
Fino a poco meno di 35 anni fa dai terreni vitivinicoli dell’isola usciva soltanto lo sfuso imbottigliato poi altrove. “La qualità del nostro vino – ha spiegato Morgante – ci ha indotto a introdurre qui la produzione e a far nascere i nostri marchi. Hanno iniziato importanti famiglie e cooperative già da tempo attive nel settore, adesso ci sono decine di grandi e piccole aziende che ogni anno aumentano produzione e investimenti”.
A illustrare nello specifico la situazione ai nostri microfoni è stato Sebastiano Torcivia, professore ordinario di economia aziendale dell’Università di Palermo e attento osservatore del mercato vitivinicolo siciliano. “Oggi – ha dichiarato Torcivia – in Sicilia ci sono 872 aziende produttrici registrate. Di queste, 30 sono cooperative e, complessivamente, possiamo dividere le varie società in tre grandi gruppi: aziende grandi, medie e piccole. Le grandi sono 28 e contribuiscono al 70% della produzione, le medie sono invece 100 e imbottigliano il 20% del totale, infine le piccole sono 745 e producono il 10% del totale delle bottiglie”. Ci sono poi almeno 314 aziende che usano prodotti siciliani ma imbottigliano altrove.
La “locomotiva siciliana” in pericolo
Si tratta di cifre che, secondo il professor Torcivia, autorizzano a parlare di “locomotiva siciliana” a proposito di mercato del vino. “Tutto è iniziato molto dopo – dichiara – e nonostante questo oggi produciamo 240 milioni di bottiglie all’anno, sfruttando il 40% del nostro potenziale. Un dato ragguardevole e che è destinato ad aumentare”. Complessivamente, le bottiglie siciliane contribuiscono da sole all’8% dell’intera produzione nazionale.
La crescita del mondo vitivinicolo siciliano è tanto veloce quanto sorprendente. L’isola in questo settore ha mostrato un dinamismo non indifferente e spesso tenuto nascosto in altri ambiti. Quasi una vera e propria rivoluzione culturale. Lo dimostrano anche i dati relativi al vino biologico, settore in cui la Sicilia è al primo posto in Italia forte della presenza sull’isola del 25.9% di tutti i terreni dedicati a questo genere di coltivazione nel nostro Paese.
I mercati che fanno più gola
Del dinamismo del mercato siciliano se ne sono accorti anche all’estero. Il vino prodotto in Sicilia ha sempre più successo e ha proiettato da anni l’isola in circuiti internazionali molto ambiti. I dati del 2021 parlano della crescita dell’export in molti Paesi importanti, a partire dal Canada. Qui, dal 2016 in poi, il valore delle esportazioni delle bottiglie siciliane è cresciuto del 93%. C’è poi la Corea del Sud, verso cui negli ultimi cinque anni l’aumento dell’export è nell’ordine del 64%. Registrati aumenti di vendite importanti anche verso il mercato svedese (52%) e statunitense (40%).
A conquistare maggiori fette di mercato all’estero sono i vini bianchi, la cui vendita è complessivamente cresciuta del 32% tra il 2019 e il 2021. Premiata non solo la qualità delle bottiglie, ma anche del “marchio Sicilia”. “Le faccio un esempio – ha raccontato ancora Carmelo Morgante – a contribuire al successo dei vini siciliani è stato anche il commissario Montalbano, una delle fiction tra le più seguite al mondo. In tanti si sono appassionati ai prodotti dell’isola e oltre a venire qui hanno iniziato a importare le nostre bottiglie o a investire nelle nostre aziende”.
Uno spunto che permette di ricollegare il mercato del vino a un altro cruciale per l’isola, quello del turismo. Impossibile scindere le sorti dell’export vitivinicolo con le vicende legate al settore turistico, oramai capace di superare gli anni bui del lockdown. Il brand dell’isola, trainato anche dal vino, sta avvicinando molti investitori. La Sicilia si è così ritrovata al centro di un vasto mercato internazionale, in grado di darle anche un’autonoma linea di indirizzo nei rapporti commerciali con l’estero.
I potenziali danni della linea irlandese sul vino italiano
Raccontare il caso siciliano, vuol dire far capire quanto sia importante il settore vitivinicolo per il nostro Paese. E, più in generale, quanto sia vitale l’intero settore agroalimentare. In Italia simili miracoli economici sono possibili, grazie ai suoi prodotti dalla qualità da sempre apprezzata all’estero, anche in territori economicamente in affanno. Di riflesso, il caso siciliano è utile a far capire quanto danno possono recare le recenti politiche sulla salute applicate all’estero. La vicenda più discussa degli ultimi giorni, riguarda il via libera della Commissione europea agli alert sanitari irlandesi. Dopo una lunga diatriba infatti, l’esecutivo Ue ha accordato al governo di Dublino la possibilità di poter far inserire nelle bottiglie di vino le etichette in cui si avvisano gli utenti dei danni alla salute. Come avviene già oggi sulle sigarette.
L’equiparazione del vino al fumo in tal senso è molto pericolosa per l’immagine del prodotto. Preoccupazioni sono state già espresse dal governo italiano, tramite il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. Non è tanto il mercato irlandese a spaventare, marginale rispetto ad altri, quanto il fatto che l’esempio di Dublino possa essere emulato da altri Stati, sia europei che extraeuropei. Il Canada ad esempio, proprio pochi giorni fa ha emanato una direttiva in cui suggerisce ai cittadini di “consumare drink massimo due volte a settimana”. “Se siamo preoccupati? – dichiara Morgante – Certo, ma più che altro mi meraviglio della strategia europea. L’Ue dovrebbe decidere con una voce sola e rappresentare tutti invece di dare via libera a una singola proposta dell’Irlanda”.
La guerra dei vini è quindi all’orizzonte. Italia, Francia, Spagna e altri sei Paesi che hanno bocciato questa norma, hanno promesso battaglia. Il tutto in attesa del parere definitivo sulla decisione di Dublino, il quale dovrebbe arrivare entro 60 giorni dall’organizzazione mondiale del commercio.