Perché questo articolo dovrebbe interessarti? Alumeta, azienda ucraina leader nella produzione di alluminio, sarebbe pronta a investire di tasca propria nell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. La guerra ha di fatto accelerato i propositi del colosso di Kiev.
Un’azienda ucraina è pronta a rilevare l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Nei giorni scorsi a Palermo, alla presenza di alcuni esponenti del governo regionale, sono stati resi noti i principali dettagli. L’azienda in questione si chiama Alumeta ed è leader nella produzione di alluminio nel proprio Paese. Lo sbarco in Sicilia di Alumeta ha un duplice scopo: investire nel mercato europeo, allargando il portafoglio di clienti dell’azienda; e destinare i propri impianti in Ucraina alla ricostruzione del Paese. Sull’isola c’è ottimismo: i capitali per avviare l’investimento sarebbero tutti di Alumeta, circostanza che permetterebbe di avviare in breve tempo la produzione.
L’investimento di Alumeta
Il colosso ucraino dell’alluminio sembra voler fare sul serio. Sul piatto sono stati messi 41 milioni di Euro. I rappresentanti di Alumeta, negli incontri avuti a Palermo, hanno dichiarato l’intenzione di mettere mano al proprio portafoglio. Dei 41 milioni necessari, 27 dovrebbero arrivare direttamente da Alumeta; i restanti 14 invece da finanziamenti bancari. Per il momento, non servirebbe il ricorso ad incentivi.
La Regione Sicilia, per bocca dell’assessore alle attività produttive Edy Tamajo, ha comunque confermato uno stanziamento di 70 milioni di euro nell’ambito dell’accordo di programma per il rilancio dell’area industriale di Termini Imerese.
L’azienda ucraina ha come obiettivo quello di realizzare, subito dopo gli investimenti iniziali, la produzione di 1.100 tonnellate al mese di componenti di alluminio e profilati. Nella prima fase di investimento, dovrebbero essere impiegati almeno 250 operai. L’intento però è crescere ulteriormente negli anni successivi, facendo di Termini Imerese l’avamposto in Europa di Alumeta.
Il ruolo della guerra nella scelta di Alumeta
A capo del colosso ucraino c’è l’imprenditore Sergey Shapran. Un profilo del Ceo di Alumeta lo ha tracciato Nino Amadore su IlSole24Ore. Emerge come un’analoga operazione di rilancio in programma a Termini Imerese, Shapran l’ha fatta lo scorso decennio a Brovary. Una località quest’ultima alle porte di Kiev, in cui nel 1979 era stato costruito un grande stabilimento di alluminio poi decaduto dopo la fine dell’Urss.
È qui che Shapran ha impiantato la Brovary Aluminium Plant (Braz), fiore all’occhiello della holding Alumeta. In pochi anni la Braz è diventata leader in Ucraina nell’alluminio, ma la sua produzione è orientata soprattutto all’estero. Il 90% dei materiali che esce da Brovary viene infatti esportato a clienti di trenta diversi Paesi.
Da qui l’idea, nata alcuni anni fa, di cercare uno stabilimento per produrre direttamente in Europa. Ha infatti spiegato Shapran a Forbes l’obiettivo di non far considerare più l’Ucraina un Paese da cui si prendono solo le materie prime. Ma, al contrario, di far vedere nell’Ucraina anche una nazione da cui escono prodotti finiti.
La guerra scoppiata un anno fa avrebbe accelerato il progetto di ricerca di nuovi impianti in Europa. Brovary, hanno spiegato sempre al Sole24Ore alcuni vertici di Alumeta, servirebbe in futuro a produrre quei materiali indispensabili per la ricostruzione dell’Ucraina. A Termini Imerese verrebbe quindi portata la produzione destinata ai clienti stranieri.
L’intricata storia dell’impianto di Termini Imerese
Quando si legge Termini Imerese, in Sicilia e non solo il pensiero va alla Fiat. Qui la casa torinese nel 1967 ha avviato la costruzione di un grande impianto, destinato a diventare emblema dei pregi e dei difetti del sogno industriale nel mezzogiorno. Era quella l’epoca della delocalizzazione di diverse industrie al sud e in Sicilia in particolar modo. Aziende di Stato, aziende private, colossi nostrani, tutti attratti da massicci investimenti pubblici e da un’autentica pioggia di incentivi.
La Fiat all’epoca ha scelto Termini Imerese per la sua posizione: né troppo vicina e né troppo lontana da Palermo, a pochi passi dalla prima ferrovia a doppia binario costruita sull’isola e in un punto, quello a valle della foce del fiume Torto, ancora oggi fondamentale snodo autostradale e ferroviario dell’intera Sicilia. Per portare qui la produzione è stata fondata SicilFiat, posseduta al 60% dalla Fiat e al 40% dalla Regione Siciliana.
La crisi dell’impianto
Il sogno industriale è sembrato in effetti materializzarsi. Tra operai e indotto, tra gli anni ’70 e ’80 sono state quasi 4.500 le persone che hanno lavorato nell’impianto. Poi è arrivata la crisi del settore e, soprattutto, la grave crisi della Fiat. Negli anni ’90 il sogno ha iniziato a tramutarsi in incubo. È scattata la cassa integrazione per un primo gruppo di operai, poi via via le varie minacce di chiusura.
I costi di trasporto, l’ancoraggio di Termini Imerese alla produzione di un solo modello di auto e il calo delle vendite, hanno rappresentato scogli insormontabili per il rilancio dello stabilimento. Dopo la chiusura paventata tra il 2002 e il 2003, nel 2010 è arrivato l’annuncio della definitiva dismissione dell’impianto. I cancelli si sono chiusi il 31 dicembre 2011.
Da allora, solo progetti di riconversione mai però concretizzatisi del tutto. Nel 2015 l’intero impianto è passato nelle mani di Blutec, con l’intento di realizzare qui componentistica per auto. I problemi dell’azienda piemontese però hanno impedito un concreto rilancio. E al momento la struttura ha l’aspetto di una cattedrale nel deserto.