We are social, per chi avesse trascorso gli ultimi giorni su Marte, è la prestigiosa agenzia di comunicazione finita nella bufera per via della “Chat degli 80”, un fitto scambio di messaggi misogini e maiali tra i dipendenti della società che andava avanti da anni. Le conversazioni sono diventate pubbliche e ci si trova di tutto: dal campione che sogna di far sesso con una collega che ha appena abortito galvanizzandosi pensando alla sua “fig@ tutta raschiata”, a quelli che si limitavano a dare voti o a ipotizzare in quale posizione le donne che gli lavoravano al fianco ogni giorno avrebbero “reso” meglio durante un eventuale rapporto sessuale. Fa schifo tutto, non si salva niente. I tre capi dell’agenzia (perché nominarli?), a bubbone oramai esploso, si sono semplicemente detti dispiaciuti. Precisando, ovvio, come loro di questo letamaio non sapessero nulla, povere stelle. Il #MeToo scoppiato in We Are Social ha sconvolto l’intera pubblica opinione. Ed è anche segnale di un effettivo cambio di passo rispetto a ciò che “poteva” essere tollerato prima del #Metoo e ciò che oggi, per fortuna, non lo è più. Stiamo dicendo che il #Metoo, dopotutto, ha fatto anche cose buone? Sì. E per farsene un’idea, basti pensare a come andassero le cose prima dello scoppio di tale oramai famigerato movimento femminista.
We are social nel caos, ma come si lavorava prima del #MeToo?
We are social è oggi il coperchio che è stato divelto dal vaso di Pandora. Oltre all’horror di quella tremenda “Chat degli 80”, però, val forse la pena ricordare come quel tipo di esternazioni ora intollerabili fossero bene o male all’ordine del giorno e dette orgo fino a poco tempo fa. Basta andare indietro di dieci anni per sentire una musica completamente diversa. L’opinione generalmente diffusa, ne scrive chi a quel tempo c’era, era che gli uomini fossero uomini e che fossero quindi inevitabili determinati atteggiamenti “predatori”. Anzi, le donne che lavoravano con loro dovevano essere principalmente grate della possibilità e poi praticare lo slalom tra i maiali come fosse parte implicita del contratto a progetto, nonché primaria responsabilità personale. Una non è che si potesse lamentare di apprezzamenti fuori luogo, di messaggi notturni, di “corteggiamenti” espliciti. Sarebbe passata da frescona. Ehi, che ti aspettavi? La mentalità vigente era così interiorizzata da impedire alle donne di comprendere il sistema marcio in cui si stavano muovendo. Anzi, se qualcuno offriva un impiego lasciando intendere che si aspettasse una ricompensa “in natura”, c’era quasi da stare allegre. Alla fine, aveva scelto te e non qualcun altro, avevi tu la possibilità di lavorare, il privilegio. Che fortuna. Poi, sul campo, sarebbe arrivato il momento di dimostrare il proprio valore effettivo, lavorando e non cedendo alle già anticipate avances anche solo per non passare per un’arrampicatrice sociale, per una che volesse fare strada tramite la fagiana. Un carico di stress totalmente inutile, ma considerato accettabile, legittimo, anzi, necessario.
We are social e non solo, la leva militare di una generazione di donne dimenticata
We are social sta facendo scandalo come è giusto che sia. E chiunque abbia iniziato a lavorare dieci anni prima di oggi non può che essere entusiasta del cambiamento di sensibilità che si è evoluto, nel tempo, in favore delle donne sul posto di lavoro. Allo stesso tempo, però, resta la leva militare imposta e vissuta come fosse normale, da contratto. Di professionale, prima del #MeToo, non c’era proprio nulla, a parte la libertà, da parte dei maschi di farsi guidare dal proprio uccello nello scegliere le candidate con cui poi avrebbero lavorato (e flirtato in modo più o meno pesante). Sicuramente tempi migliori per loro, un po’ meno per chi questi atteggiamenti li viveva, pur con il benestare del fatto che “le cose funzionano così”. Mica puoi infastidirti o piantare un casino. Prima di tutto, non ne senti l’esigenza. In secondo luogo, se dici qualche cosa, occhio, poi rischi che nessuno ti richiami più. C’è tanto sollievo a pensare che oggi una ventenne andrebbe dritta dalle risorse umane o si licenzierebbe in tronco piuttosto di sottostare a queste regole di un gioco totalmente inventato e che non ha mai avuto senso di esistere. Se non in modo sistemico, come è anche ora. Ora, però, si ha la certezza di poterlo e doverlo combattere. Non quella di abbozzare e sorridere quasi divertite perché tanto è normale. Resta, comunque, una generazione di donne che dopo aver studiato (Triennale, Specialistica, Master), essersi preparata allo sfinimento per il mondo del lavoro, si è poi trovata a fare i conti con la più bieca fantascienza maschile. Senza farne parola. Una generazione di donne che ha vissuto una leva militare, dicevamo, inutile. E a cui nessuno si interessa. Perché, semplicemente, è andata così.