C’è uno spettro che agita i sonni dei presidenti del calcio italiano e rimanda cattivi pensieri leggendo, nella rassegna stampa quotidiana, delle vicende di TIM e delle cattive acque in cui naviga il suo ad Gubitosi, architetto dell’intesa tra l’operatore telefonico e DAZN. Le difficoltà dei due partner nel far rendere il business della Serie A non sono, infatti, un problema solo per i diretti interessati ma rischiano di investire tutto il massimo campionato che già non naviga nell’oro. Il fantasma è quello del crack di Mediapro che nel 2020 ha travolto la Ligue1 francese facendo precipitare il valore dei diritti domestici del torneo transalpino da 1,1 miliardi di euro a poco più di 660 milioni con corollario di cause e ricorsi in tribunale e le società costrette a tirare la cinghia dopo aver sognato di aver fatto il colpo superando la Serie A nella classifica della valorizzazione tv del proprio prodotto.
Cosa accadrebbe da noi se DAZN dovesse alzare bandiera bianca o, comunque, essere costretta a ridimensionare i propri piani economici e finanziari di investimento sul pallone? La premessa è che al momento la prospettiva non è concreta, nel senso che l’OTT non ha lanciato alcun segnale d’allarme nei confronti della Lega Serie A dove, però, le ultime peripezie commerciali e il fronte aperto dentro TIM non sono passate inosservate. Tim infatti è partner di DAZN con la quale ha stretto un accordo blindato da 340 milioni di euro di minimo garantito a stagione fino al 2024 sulla base del quale contava di raggiungere a regime 1,4 milioni di abbonati assestando anche un colpo a Sky e al suo tentativo di inserirsi nel mercato della rete con l’offerta sul wi-fi.
Il risultato è stato fin qui deludente e lo scontro ai vertici di TIM, con Gubitosi in difficoltà verso il resto del consiglio di amministrazione e sullo sfondo il tentativo del fondo KKR di prendersi la società, ha fatto emergere la realtà di numeri fin qui tenuti nascosti. Anche DAZN non è ancora arrivata al break-even richiesto perché l’investimento sui diritti tv della Serie A (840 milioni all’anno per un triennio) sia sostenibile e non in perdita e la mossa di provare a cancellare la ‘concurrency’ (doppia utenza) conteneva anche il tentativo di monetizzare aumentando la platea dei clienti, andando a penalizzare tutta quella fascia di persone che in estate hanno aderito all’offerta a prezzo scontato (19 euro al mese al posto di 29) anche perché invogliate dalla possibilità di dimezzare la spesa condividendo l’account.
I club non potrebbero sopportare una crisi strutturale di DAZN né tantomeno sostenere un eventuale crollo dei valori causati dalla necessità di andarsi a cercare sul mercato, in fretta e furia, un nuovo partner. Ecco perché le polemiche sul taglio, poi rimandato all’anno prossimo, della doppia utenza hanno visto i responsabili della Lega Serie A in rigoroso silenzio fino a quando non ci ha pensato il Governo a stoppare DAZN. Meglio non esporsi, col rischio di indebolire il socio in affari, con buona pace dei diritti dei tifosi-clienti sempre più relegati al ruolo di spugne da spremere fino all’ultima goccia.
Ora la battaglia dentro TIM e l’attacco frontale proprio all’accordo con DAZN, che secondo i critici rischia di costare decine di milioni di euro nei conti, porta allo scoperto la questione. Già nelle scorse settimane alcuni rumors avevano riferito di una – non confermata – volontà di TIM di chiedere parziale revisione dell’intesa con la OTT, accusata di non fornire un servizio all’altezza. Il calcio italiano è legato a doppia corda al destino dell’azienda tedesca, in nome di un matrimonio per il quale ha chiuso quasi tutte le porte in faccia a Sky compreso il rifiuto di vendere anche gli highlights delle partite, così come richiesto dalla stessa DAZN. Trovarsi all’improvviso a metà del guado sarebbe un problema.